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“Siamo qui, con qualcosa da dimenticare che io non capisco”. E’ sul pianoforte di “No wings inside” che un disco come questo trova la sua chiave di lettura: i ricordi che ti danzano attorno, una casa vuota all’ora del tramonto, l’eco di una voce che ti accarezza.
Se fosse possibile un paragone pittorico per le canzoni di “Stars are crashing (in my backyard), il primo disco su lunga distanza dei livornesi Hollowblue, questo sarebbe Edward Hopper, le sue solitudini altere, i suoi silenzi carichi di attesa. Canzoni che vivono del timbro caldo di Gianluca Maria Sorace, di archi lacrimosi, di chitarre che si accendono all’improvviso, di amori per David Bowie (“Laughing in tears”) e di voci che si corteggiano su un pianoforte (la meravigliosa “We fall”, cantata assieme alla sempre più seducente Lara Martelli), di suggestioni desertiche come di piccole, preziose miniature alla Divine Comedy (“Hollowblue”).
E’ un disco profondamente malinconico, “Stars are crashing (in my backyard)”, ma non triste. E’ teso, ma mai violento. E la sua luce è offuscata solo da un paio di lungaggini di troppo, ma nei suoi 52 minuti non è raro rimanere a bocca aperta: accade nell’attacco di “First avenue” (dove la batteria pulsa, mentre violoncello, tromba e contrabbasso lanciano piccole scintille dissonanti sotto la voce di Dan Fante, prima di dissolversi in un brano da Calexico melodrammatici), o nella melodia imbronciata di “He comes for you”, o ancora nel crescendo di archi di “Jodie Foster”.
C’è una raffinatezza fin troppo rara, in questo disco fatto di dettagli cesellati e di calore avvolgente, ed è un peccato se qualcuno, distratto da luci più colorate, si perderà lo spettacolo di queste stelle che cadono nel giardino…