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A poco è servita la coraggiosa scelta di una band non certamente da disco di platino, la prima in Italia, di lanciare alla Radiohead il nuovo disco con un download a offerta libera sul proprio sito, perché di loro non si parla mai. E quando se ne parla si continua a identificarli come la promessa della cosiddetta scena alternative italiana continuando ostinatamente a concentrare l’attenzione su artisti nostrani che ormai hanno ben poco da dire e da aggiungere.
Invece, nell’ombra o quasi, gli Yuppie Flu sono arrivati al primo decennio di carriera con il sesto lp rigorosamente indiependenti. Dagli esordi da risposta italiana ai Pavement con la graduale e decisiva intrusione di ballad beatlesiane e sfumature elettroniche alla Notwist che ha visto il suo culmine in “Days Before The Day” (per i disattenti, probabilmente uno dei migliori album italiani dal 2000 in poi) fino alla deviazione anglosassone dell’ultimo “Toast Masters”. Album che per quanto schietto e smaccatamente indie-rock li aveva definitivamente lanciati nel resto dell’Europa – in cui godono di un’attenzione paradossalmente più viva che da noi – al punto di attirare l’attenzione della XFM Radio e addirittura della BBC, con un doppio illustre riconoscimento: il titolo di “Album of the Week” nel giugno 2005 e i complimenti via email di Thom Yorke, spettatore casuale del montaggio della loro esibizione negli studios dell’emittente britannica.
Forti di questi riconoscimenti, i quattro marchigiani, tuttavia, invece di sedersi sugli allori cambiano nuovamente registro per un disco più ragionato e curato, senz’altro meno immediato pur legato a un’impostazione chiaramente pop. Basta poco – l’introduttiva “Patient One” – per convincersi. Accantonate le chitarre sbarazzine alla Strokes e i ritornelli furbetti torna la malinconia di due dischi fa, quella di gemme quali ”Drained By Diamonds”, “I Feel Lucky” e “Eyes Of Dazzling Bright”. Chitarra, voce e qualche effetto qua e là. Atmosfere ovattate e autunnali, accenni indie-folk – brutto a dirsi ma è un’etichetta piuttosto sintetica – con virate di taglio chiaramente Yuppie Flu, nelle orchestrazioni e nei synth. Se “Make It Happen” e “The Night And I”, pur efficaci melodicamente in parte ripropongono copioni già sentiti, “Eyes”, con quelle percussioni orientaleggianti che si adagiano su chitarre e chitarrine, e “Cold Device”, con quel sitar emblematico, danno l’idea di due consapevoli tributi ai Beatles di sponda Harrison. Ciò senza snaturarsi. Non mancano infatti quelle melodie tenui e languide distese dalla voce nasale di Agostinelli né mancano pennellate digitali di sfondo e vellutati arpeggi elettrici dal vago gusto psichedelico. Psichedelia da Mercury Rev italiani, accostamento inevitabilmente venuto fuori dopo l’incredibile “Days Before The Day”, che emerge non solo nei pezzi scritti alla chitarra acustica. Si ascolti “Blue Plot” dolente e riverberosa mini-suite al pianoforte, per poi passare alla svampita “Sweet Lame” che, da un inizio che più Yuppie Flu non si può, sfocia in una rilassata canzonetta zoppicante alla Flaming Lips. Flaming Lips che sono rievocati nella sincopata “Yellow Hills” almeno prima del cambio di atmosfera, in uno di quei crescendo intensi e drammatici che è sempre stata una delle loro peculiarità più riuscite. Quasi ai limiti del parossismo più o meno dissonante in “Summer Afternoon” che dà l’idea di uno dei brani d’esordio rivisto con più cura negli arrangiamenti e nella composizioni. Come nella titletrack che si distingue per un inizio epico alla My Bloody Valentine che ricorre nel brano in una straniante altalena emotiva che fa di “Fragile Forest” il brano probabilmente più maturo e armonioso dei dieci.
Insomma, le canzoni ci sono, così come le atmosfere e le sonorità che fanno scorrere il disco senza intoppi.
Se la BBC presentando al pubblico “Toast Masters” si chiedeva se una band dal piglio così frizzante (ma chi? Gli Yuppie Flu?) avrebbe potuto resistere alla fine dell’estate chiedendosi “How it will sound on a drizzly grey Autumn day in the Midlands?” questa volta semmai potrebbe porsi il problema opposto. E c’è l’estate che incombe…