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Rompere un silenzio discografico che dura cinque anni e dare un seguito a quelli che fans e critica hanno bollato come i dischi meno riusciti di un’ottima carriera è sempre un terno al lotto. Tanto più se il soggetto in questione si chiama Jason Pierce, viene dagli Spacemen 3 e ha dato alle stampe dischi come “Lazer Guided Melodies”, “Pure Phase” e quel capolavoro indiscusso che è “Ladies And Gentlemen We Are Floating In Space”. Senza contare il peso delle aspettative che egli stesso ha contribuito ad aumentare, descrivendo questo nuovo lavoro come “il disco del Diavolo sotto la sua supervisione”. Ancora più difficile tornare alla ribalta dopo i gravissimi problemi di salute occorsi negli ultimi anni, tali addirittura da ipotizzarne una prematura scomparsa. Ma J Spaceman non è uno che si lascia vincere facilmente. Uscito dall’ospedale ha preso in mano la chitarra e si è imbarcato in un tour, l’”Acoustic Mainlines”, che chi ha avuto la fortuna di vedere ricorderà per tutta la vita. Una di quelle occasioni per cui dire “io c’ero”, perché toccare con mano tanta grandezza e sconfinata umanità di sentimenti non è cosa da tutti i giorni. Io c’ero, e ancora risuonano dolenti e appassionate nelle mie orecchie le note dei suoi successi riproposti in chiave acustica con piano, archi e coro gospel. Un’esperienza mistica e da brividi.
Alla luce di tutto questo, avvicinarsi al nuovo lavoro dopo averlo visto da vicino non può che confermare la bontà di quanto ci si aspettava. Non un capolavoro, sia chiaro, ma un disco vero, sentito e portatore di quel marchio di qualità che solo certi artisti sanno dare in ogni momento. Non c’è lo spleen di “Ladies And Gentlemen” ma un’emotività mai opprimente e libera di viaggiare tra momenti rallentati e sinfonici (“The Waves Crash In”, “Sitting On Fire”) e schitarrate acide e distorte (“I Gotta Fire”). “Sweet Talk” suona calda come una confessione, “Soul On Fire” ha invece tinte più allegre con un ritornello ricco di vitalità a simboleggiare la rinascita dopo il buio. I momenti più rock e cacofonici si sprigionano nella doppietta “Yeah Yeah”-“You Lie You Cheat” mentre una serie di “Harmonies”, sei in totale, spezzano volentieri i momenti facendo da intermezzo all’interno della scaletta. I sette minuti di “Baby I’m Just A Fool” testimoniano la voglia di ribadire che J Spaceman è vivo e sa ancora scrivere alla sua maniera, scatenando nel finale un tripudio di suoni prima di tornare a cullare nella successiva “Don’t Hold Me Too Close”. Le conclusive “Borrowed Your Gun” e la night lullaby “Goodnight Goodnight” confermano quindi la bontà e la grandezza di un artista sempre genuino, capace di canzoni che sanno arrivare dritte al cuore. E più le ascolti e più ti crescono dentro, quelle ballate malinconiche che, fatte di pochi accordi o numerose sovraincisioni, lacerano inesorabili in qualsiasi situazione. Bentornato, Jason.