Share This Article
I Fuck Buttons sono un duo bristoliano salito di recente agli onori delle cronache dopo una fortunata apparizione all’ultima edizione del sempre più celebre e celebrato festival All Tomorrow’s Parties, non per niente arricchito per l’occasione dalla direzione e supervisone artistica dei Portishead. E proprio dai più famosi colleghi e concittadini si potrebbe avviare la conversazione giacché questi Fuck Buttons paiono una versione dei Portishead senza basso, batteria, cantante e campionatori, in definitiva dei Portishead senza i Portishead. A proposito di questo gruppo qualche analista del caso si è adoperato faticosamente evocando definizioni come noise, psichedelia, tribalismo…molto più semplicemente si potrebbe dire che l’esordio dei Fuck Buttons è un’opera basata sul concetto di noia e protesa in una tentativo di esplorazione musicale di tutta l’autentica bellezza che dalla noia più impenetrabile può scaturire in maniera del tutto naturale.
Per attuare un progetto siffatto il duo si serve essenzialmente di un unico strumento: il cosiddetto “drone”. Le sei composizioni del disco non sono altro che ambienti sonori (invero piuttosto inospitali) ricavati, anzi letteralmente “scavati” e scolpiti all’interno di volumetrie e spessori di drone, di volta in volta risplasmati e sovrapposti secondo trame e geometrie mutevoli. A scandire il tempo pensano percussioni dal respiro vagamente aborigeno/ voodo e qualche stralcio occasionale di drum machine rimasta inceppata sulla stessa sequenza di battiti sfasati. Le voci, secondo la tradizione ormai consolidata della scuola Sun O))), Boris, Merzbow, si limitano a scernere una bava di suoni collosi e disarticolati in bilico tra i vagiti di un feto strangolato dal proprio cordone ombelicale e la lingua sconosciuta di un alieno che annuncia a reti unificate che l’invasione del pianeta terra da parte degli ultracorpi è appena cominciata. Ascoltate “Ribs out”, tanto per dire: sembra una rielaborazione di “Drum’s Not Dead” dei Liars condotta dai Battles, con Panda Bear ai vocalizzi e i Black Dice alle percussioni; il tracciato spiraliforme dei ritmi si fa sempre più soffocante ad ogni giro ulteriore, come la stretta di un pitone silenzioso, fino a collassare. La maggiore abilità del gruppo consiste forse nello srotolare sottili membrane uterine e fluttuanti placente intessute di rumori e brusii gorgoglianti, come accade in “Bright Tomorrow” o nell’iniziale “Sweet Love For Placet Earth” e a tornare in mente sono di nuovo i Portishead (nell’attitudine più che nel risultato effettivo), e così il cerchio in qualche modo si chiude.
Nel 1965 Arno Penzias e Robert Wilson, scoprirono per caso (mentre erano intenti a sperimentare un nuovo tipo di antenna a microonde) una misteriosa forma di interferenza radio, che successivamente venne ribattezzata “radiazione cosmica di fondo” o anche “radiazione fossile” e che altro non era se non l’eco residua del cosiddetto Big Bang avvenuto quindici miliardi di anni prima. Ecco, la musica dei Fuck Buttons somiglia proprio a questo: un’eco frastagliata e sfuggente di un’enorme esplosione, il suono del silenzio dopo la fine di ogni musica ancora pensabile. Ah, dimenticavo: Penzias e Wilson vinsero il Nobel nel 1978.