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Diciamo una banalità: un concerto dei Radiohead è come un grande, immenso trip. O almeno dovrebbe sempre esserlo. Un sogno. E il primo dei due milanesi, quello del 17, non lo è stato. E’ stato molto concreto e mi ha dato la possibilità di valutarlo distaccato, da lontano, analizzarlo quasi freddamente, sezionarlo come in un’autopsia. E mi ha fatto rimanere totalmente me stesso. Contano anche gli agenti esogeni, certo, la pioggia di Bat For Lashes che alla prima sgranata di chitarra ha fatto esplodere il cielo è stata di una rottura mortale. Era venuto quasi da pensare che Bat For Lashes porta sfiga come i Nomadi. Mannò, il giorno dopo si è ripresa. (Che pubblico ’gnorante però, credevo che la curiosità del fan medio della band oxfordiana imponesse di sapere almeno vagamente chi fosse ‘sta tizia scelta appositamente da Yorke per il tour, invece lo chiedevano tutti e uno mi ha domandato perfino se era Bjork… no comment). Buono un pezzo nuovo, più monocorde il resto e addirittura la chiusura di “What’s A Girl To Do”.
Con gli ombrelli fortunatamente già nelle fodere, inizia il concerto vero. Volume basso. “15 Step” e “Bodysnatchers” deludono. “All I Need” inizia a far carburare l’atmosfera, mentre su e giù per la folla iniziavano a girare voci che in Italia-Francia avesse segnato anche Buffon di testa su calcio d’angolo. Ma è con “Lucky” (che continuerà a risuonare nel mio cervello per tutta la notte) e “Nude” che i radiotesta mi ricordano che sono stratosferici, inimmaginabili, che un loro live è una delle venti cose per cui vale la pena vivere. Partono con “Nude” senza l’intro reverse del disco, direttamente a secco voce, basso e batteria: la fresca brezza della sera pulsa sulla faccia e mi fa sentire vivo.
Da lì in poi ci sono pezzi che mi rapiscono, altri in cui trovo invece sempre un difetto, e ciò non torna: i Radiohead non sbagliano mai, non sono umani, sono alieni giunti sulla Terra per stimolare brividi lungo la spina dorsale. “The Gloaming” è perfettamente apocalittica, “Optimistic” mi tranquillizza: non si sono dimenticati di avere in saccoccia il disco del secolo da cui attingere. E rinasce dentro “Ok Computer” che avevo un po’ accantonato; dopo quella bellissima “Lucky” anche “Climbing Up The Walls” si veste della sua obliquità ed “Exit Music” è “Exit Music”. Per fortuna che esiste, “Exit Music” (anche se un coglione la rovina gridando un paio di volte: “Scappa, scappa!” immedesimandosi troppo in Romeo). Pure “Amnesiac” è rappresentato degnamente: nel finale di “Pyramid Song” Thom sembra in un minareto a intonare un canto muezzin, mentre in “You And Whose Army” gioca con una telecamera montata sul pianoforte avvicinando l’occhio balugo e facendo facce sceme.
In pratica il concerto diventa solamente bello e non meraviglioso per i 9/10 di “In Rainbows” (suonate tutte tranne “House Of Cards”) che si dimostra emozionalmente meno coinvolgente del previsto, con in più una “Karma Police” inutile dato che cantano tutti, e se dovevo andare a sentire cantare il pubblico e non Yorke stavo poi a casa. Indice di udueizzazione di certo pubblico dei RH: ad un concerto degli U2 si canta a squarciagola, con i Radiohead no e i veri fans lo sanno. Infatti il giorno seguente nessuno o quasi fiatava, e chi aveva il biglietto per il 18 lo aveva comprato in preda a crisi isteriche poche ore dopo l’annuncio della data quindi era un vero fan.
Ecco, del giorno seguente, del 18, non mi ricordo nulla. Per fortuna. Sono tornati gli alieni. Un grande, immenso trip. Ma questa è un’altra storia, che vi racconta Piero.
(Paolo Bardelli)
Scaletta:
15 Step
Bodysnatchers
All I Need
Lucky
Nude
Pyramid Song
Arpeggi
The Gloaming
Myxomatosis
Faust Arp
Videotape
Optimistic
My Iron Lung
Reckoner
Everything In Its Right Place
Exit Music
Jigsaw Falling Into Place
Karma Police
There There
Bangers And Mash
Climbing Up The Walls
Street Spirit
You And Whose Army
Idioteque