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Di solito, uno dei gruppi culto per eccellenza può permettersi di fare quello che vuole. Sia perché lo zoccolo dei fan è sempre duro a morire, sia perché ogni strada intrapresa può essere un successo. E’ il destino di formazioni come gli Elf Power di Athens. Dopo quattordici anni e dodici album, questi buffi paladini dell’indie-rock si devono essere chiesti dove avrebbero trovato ulteriori motivazioni dopo lo sbiadito “Back To The Web” (disco che seguiva un lavoro delizioso come “Walking With The Beggar Boys”), lavoro che aveva spento un po’ delle luminosissime luci che risplendevano sul talento di Andrew Rieger e soci. Probabilmente, avranno pensato, era il caso di tornare al passato svoltando verso il pastiche neopsichedelico dei giorni Elephant 6 e alle divagazioni che sanno tanto di Flaming Lips piuttosto che perdersi nel modernariato pop-folk di brani come “Never Believe” e “Empty Pictures”. Meglio, forse, tornare a spiazzare l’ascoltatore con canzoni senza punti di riferimenti precisi, capaci di scherzare con la storia e girovagare nel “non luogo” del peccato originale.
Letto in questo modo, “In A Cave” funziona molto bene. E se contiamo che oltre al gusto per la sperimentazione neopsichedelica c’è una vena di melodia viva e pulsante, possiamo considerare il disco come un manifesto di ritrovata forma e sostanza. Va da sè che la circolazione carbonara di un’opera del genere non toglie né aggiunge valore, ma le dona il fascino dei momenti che contano. Perché gli Elf Power sono pur sempre un gruppo di culto. Di quelli che quando ti innamori non puoi più farne a meno e gli perdoni pure i passi falsi e i momenti sbiaditi (e anche qui ce ne sono parecchi: non direi mai di trovarmi davanti al miglior disco degli Elf Power, sia ben chiaro) perché hai le certezza che, quando meno te l’aspetti, torneranno a sorprenderti con canzoni indimenticabili.