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“Sool” è fondamentalmente un disco di chiusura. Se decifrato con attenzione e pazienza può essere interpretato come un gesto difensivo, un atto di ermetismo proprio nel momento del massimo successo. Questa chiave di lettura è giustificata dal fatto che stiamo parlando dell’ultimo lavoro dell’icona femminile dell’elettronica e del djing berlinese, capace, dopo aver ampiamente superato gli steccati dell’underground, di riempire le piste dei club e di incontrare, quindi, il gusto di pubblici diversi per età ed estrazione musicale.
Con “Sool”, album che prende forma nel periodo autunno-inverno 2007/08 e che registra il contributo di AGF nella produzione, Ellen Allien sembra allontanarsi dalle folle e chiudersi nei confronti dell’esterno. Propone, infatti, undici tracce fatte di suoni scarni e minimali, atmosfere crepuscolari che sembrano progettate per un ascolto intimo, in cuffia, entro le mura domestiche. Tutto fa pensare ad un’operazione di rifondazione, di apertura di una nuova stagione estetica e produttiva.
Con “Einsteigen” prende forma l’azione del “salire a bordo”, dell’entrare in un mondo che è, ancora una volta, fortemente berlinese. Il cammino prosegue con le ritmiche metalliche di “Caress”, fatta di sibili e piccole aperture, confermando l’invito alla condivisione di quella che può essere solamente una danza mentale. “Bim”, oscura e profonda, suona, a tratti, come una rivisitazione molto personale dei primi Autechre e si risolve in un ineffabile esercizio che macchia la minimal techno con sfumature IDM. E’ nella ricerca di ritmiche decise e strutturate che si materializza la sfida per l’ascoltatore. “Elphine”, ad esempio, può essere tenuta in considerazione come traccia più significativa dell’album, sintesi perfetta tra l’umore da club e quell’intimismo fatto di inafferrabili strutture che si respira per tutto lo scorrere dell’album. Umori industrial (“Its”), oscillazioni insistenti e battiti che scandiscono il tempo (“Ondu”) introducono “Frieda”, ninna nanna minimal-pop che ricalca la formula dell’album “Happy in Grey” (BPitch Control, 2007) di Damero (Marit Posh).
“Sool” godrà certamente di minor clamore se confrontato al recente “Orchestra of Bubbles” realizzato con Apparat.
E’ a proprio modo ostico e inaspettato. Ha tutte le caratteristiche, come detto, di un atto difensivo finalizzato alla ridefinizione della purezza originaria di un suono, di un modo di fare elettronica, che si stava avvicinando sempre di più, soprattutto attraverso i club, al gusto di un pubblico allargato. Solo se verrà letto come un passo verso qualcosa di più articolato e compreso fino in fondo, “Sool”, non cadrà nell’oblio che spetta agli album incompiuti.