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18 luglio 2008 – La giornata
“Siamo simpatici italiani, abbiam la musica nel cuore e una chitarra tra le mani, e tanta voglia di cantare”. Raul Casadei. Che non era ad Italia Wave, ma è per dire che il 18 luglio 2008, al Festival di Livorno, è arrivata l’onda italiana. Solo artisti nazionali, alcuni anche nazional-popolari.
Sotto il sole in picchiata e nello svacco polleggiato dello Psycho pomeridiano ci si deve sorbire i Canadians: super-stonatissimi, veramente poco credibili se vogliono apparire come degli adolescenti americani più o meno ormonati con le loro strasentite canzoncine indiepop tra Beach Boys e un telefilm per quattordicenni. Meglio nelle parti soniche e negli inneschi, ma sottolinearlo per qualcuno che vuole fare pop suona come un’offesa. Nell’ombra degli alberi si nascondono invece orde di ragazzini e ragazzine pronte a scattare in formazione d’assalto sotto al palco non appena la crew si prepara a montare gli strumenti dei Vanilla Sky. I Canadians sconsolati devono aver scosso la testa: il pubblico che vorrebbero avere loro, a cui tacitamente si rivolgono anche se non lo confesseranno mai, è di quel target, e invece non se li fila nessuno. Stranamente i Vanilla Sky dimostrano che l’ironia del video di “My Umbrella” non era costruita, avremmo scommesso un centone di sì. Spigliati, compatti, hanno ben in testa qual il genere che devono fare e lo fanno come degli onesti manovali. Che poi sono anche dei discreti musicisti. Fanno “All The Small Things” e chiamano un tizio a caso a salire sul palco, un teenager con gli occhiali da sole che poteva portare Ruggeri negli Anni ’80 e una maglietta adatta per la Rettore, a fargli cantare quella cover dei Blink 182 mentre il chitarrista va alla batteria, il batterista al basso e il bassista alla chitarra. Una roba da Elio, insomma, ben fatta e abbastanza divertente.
Chiude il pomeriggio dello Psycho il personaggio italiano del giorno, del mese e dell’anno: Bugo con la sua barca dell’amore. Eh, ci siamo innamorati delle barchette-gadget di “Love Boat”, accessorio indispensabile dell’estate 2008.
La scaletta è praticamente tutta da “Contatti” tranne una “Casalingo” riarrangiata elettronica appositamente per il tour, una versione quadratissima che ha l’unico difettuccio di perdere in ariosità. Sul palco c’è solo Bugatti a suonare la chitarra e questo purtroppo lo limita un po’ nel fare il mattatore sghembo, ma l’eterno ragazzo di Novara ci riesce poi lo stesso. “Dov’è il mio gel?” si chiede, e di sicuro non gliel’hanno fregato gli altri della band: se li vedete capite il perché.
Il tempo di lavarsi le ascelle ed è già ora del Main stage, questa sera finalmente con una discreta affluenza di pubblico. La domanda da fare a Tricarico è sempre la stessa: perché questa band metallara? Per i Sud Sound System torna invece in auge una vecchia battuta: sai cosa dice un giamaicano che sta ascoltando del reggae quando finisce la canna? “Chi ha messo questa musica di merda?”. Artisti da liquidare un po’ così, vanno bene in un festival ma visti da lontano, molto lontano, magari seduti mentre si parla di altro.
Si scopre invece che Elio ha dei fans che nemmeno la Carrà: saltano fuori magliette di “Saturday Night Strage” (1990) con il mitico avvertimento “Il fosso, se lo conosci non ti uccide!”, tutti nel backstage vogliono fare una foto con Mangoni per appenderla di fianco alla foto della morosa, io personalmente proporrei Mangoni come prossimo Presidente della Repubblica. Gli Elii sono i soliti fuoriclasse, fuoricategoria, fuori… Stavolta se la giocano con il tormentone dell’eleganza: “E adesso faremo un brano ancora più elegante!”. E il bello di Elio sono anche i particolari: accanto a mio cuggino e Mandela, stavolta si reclama un “Free Del Turco e tutti gli altri”. Poi Mangoni, che esce vestito da: peperone (“T.V.U.M.D.B”), calciatore (“Amico Uligano”), agente segreto bulgaro (“Pippero”), Zorro (“Discomusic”), ballerino da lap-dance (“Born To Be Abramo”), fricchettone (“Parco Sempione”). La chiusura di “Tapparella” è, come sempre, toccante.
Italia Wave non finisce lì, perché c’è da vedere Elettrowave alla Fortezza Vecchia. Il numero di posti per entrare è forzatamente limitato per motivi di agibilità, e un comune mortale deve praticamente vendere un rene per entrare, ma ne va la pena. Eccome. Le location sono meravigliose, cunicoli sotterranei e terrazze dominate dalla torre della fortezza trasformati in dancefloor. Allo spazio Theatre si beccano i Chrome Hoof, collettivo inquietante in tenuta argentata anni Settanta che sembra uscito dalla scena dell’orgia di “Eyes Wide Shut”, come se i Venom avessero messo a cantare Aretha Franklin (in realtà la voce soul è invece di Lola Olfisoy). Paurosamente avanti, forse un po’ troppo.
Anche il giorno è andato un po’ troppo avanti, andòm a let.