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Proteggeteci le sopracciglie dai lacrimogeni, e dalle canzoni inutili. Oggi che le piazze sono vuote, le piazze sono mute. Oggi che con le nostre discussioni serie si arricchiscono solo le compagnie telefoniche. Alziamo la testa dalle nostre consolatorie All Stars. C’è vita oltre le riedizioni autarchiche del New Musical Express. Quanto siamo friabili, contenti di essere niente. Il cielo fa schifo, ma almeno si è vivi. Non è più tempo per gli idealismi puri e buoni. Viviamo in sfavillanti lager di cemento, ma almeno si è vivi, localizzabili da Google Earth.
Il disco che non ti aspetti, che non ti aspetti più, questo “Canzoni da spiaggia deturpata”, distribuito da La Tempesta e prodotto insieme all’ex CSI Giorgio Canali e composto e gridato da Vasco Brodi da Ferrara, alias “Le luci della centrale elettrica”, venticinquenne trapiantato a Milano che prima di questo fulminante esordio faceva il barista. E che se ne infischia di suonare sporco, sghembo, ruvido, claustrofobico; di non suonare altamente innovativo; di non studiare da papabile next big thing; di palesare scopertamente le proprie influenze: i (mai troppo rimpianti) CCCP, Rino Gaetano, i Massimo Volume, lo stesso Vasco Rossi d’antan.
Armato di una fiammeggiante chitarra acustica – con qualche levitazione noise-melodica in odor di shoegazing -, e di una visionarietà a prova di manganello al neon, Mr. Le luci della centrale elettrica ci tira addosso, implacabile, politico in senso vero, in senso serio, un pugno di storie di vita corrosivamente vissuta – oggi che la lotta armata si combatte al bar, e nei parcheggi dei supermercati -, controfirmabili da milioni di noi. L’immanenza senza ritorno di questa subciviltà post-post-industriale da circonvallazione immobile. Questa suburbia sterminata altrimenti chiamata Italia. L’amoralità dentro di noi, riproduzioni seriali di cielo stellato sopra di noi. E no, un altro mondo non è mica possibile.
Qui dove i capelli sono fili scoperti, i gatti si ammalano di Aids, le ciminiere fumano sempre e anche l’aria è precaria. Qui dove le sere colano dal naso o arrivano via Internet, e ci deludono. Qui dove anche i carrattrezzi possiedono un cuore ammaccato. Qui dove per evadere dalle tremende stanze in subaffitto e dai lavori che durano tre giorni non resta che l’antica carta stagnola. Qui dove ci si incontra e ci si ama all’hard discount o davanti a un etilometro. Qui dove le più cliccate suonerie del nostro esistere quotidiano sono i sistemi d’antifurto. Qui dove ci si crogiola in discorsi metafisici sui buchi da piercing e sui tetti in eternit stando bene attenti a non farsi intercettare dagli amorevoli poliziotti di quartiere.
Oggi il cantautorato impegnato non potrebbe suonare che così. Un disco, “Canzoni da spiaggia deturpata”, indispensabile, non canticchiabile. Catartico, non fico. Ecco cosa gli racconteremo, ai figli che non avremo, di questi cazzo di anni zero.