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GIOVEDI’ 17 LUGLIO 2008
Massive Attack + Raiz e Almamegretta (Reunion show) + Paranza Vibes
Dopo l’edizione in sordina dello scorso anno si ritorna a fare sul serio al Neapolis con una serata dedicata alla napoletanità normale, lontana anni luce da quella becera, esibizionista e oscenamente oleografica vista qualche settimana fa in una piazza a pochissimi chilometri da qui.
Gli ospiti della serata sono gli Almamegretta, in questa unica e sola occasione accompagnati alla voce dall’ex deus ex machina Raiz, e soprattutto gli attesissimi Massive Attack che, ancora una volta, tracciano profondamente la linea che unisce misteriosamente Bristol a Napoli.
Il set degli Almamegretta dura circa un’ora e venti e gode di un’ottima, per potenza, sezione ritmica, seppure qualche volta di troppo imprecisa; Raiz scalda subito un’Arena Flegrea non ancora gremita con un estratto da Sanacore: “’O Sciore Cchiù Felice” potrà essere eretta a simbolo della serata per la frase “ o sciore cchiù felice è l’ommo senza radice” (il fiore più felice è l’uomo senza radici) perché, più tardi e più volte, Robert del Naja dimostrerà l’esatto contrario. Il resto del concerto scorre via come un qualsiasi concerto ai limiti tra hip pop e reggae, trovando il proprio vertice in “Nun te scurdà” mentre negli episodi privi della voce e della presenza scenica di Raiz gli Almamegretta dimostrano di non differenziarsi troppo da tutte le altre band uscite nel periodo in cui impazzavano centri sociali e posse. Chiusura affidata a “Sanacore”.
Alle 11.20, direttamente dai titoli di coda di Gomorra, Italia è l’ora dei Massive Attack. Anche stasera, come in tutte le altre date del tour si esibiranno con una scaletta che comprende ben otto pezzi del quinto disco non ancora uscito (ci sarà anche Damon Albarn alla voce come dichiarato da 3D alla stampa locale). Dall’ascolto di queste otto canzoni è subito chiaro che si tratterà di un disco meno compatto e più eterogeneo di “100th windows”; al primo impatto è sembrato una summa dell’intera produzione massiviana con episodi etnici, atmosfere rarefatte, incursioni nel soul.
“All I Want” apre la serata dei massivi col suo arrangiamento minimale e lineare, la batteria scarna e il riff di chitarra fa venire in mente i Pink Floyd meno psichedelici, alla voce Grant Marshall è affiancato dall’ottima Yolanda Quarty; 3D dice di essere contento di suonare “nella città del mio padre” prima di addentrarsi in “Marooned” dove, come tradizione del collettivo di Bristol, lo stato di coscienza indotto nell’ascoltatore oscilla tra la discesa nell’oscurità più profonda e quello che accompagna la risalita verso la luce; si intuisce che per tutto il resto del live ci sarà tanto spazio per Angelo Bruschini: la chitarra è quasi sempre in primo piano cosa che nelle incisioni avviene quasi mai.
“Risingson” è il primo pezzo noto (saranno 8 in totale, 5 da “Mezzanine”, 2 da “Blue lines” e 1 da “Protection”, nessuno da “100th windows”, come gli inediti per una strana forma di par condicio) e serve a confermare al pubblico, sorpreso da questo incipit fatto di pezzi sconosciuti, di avere di fronte i Massive Attack che iniziano a esplorare l’infinita notte napoletana coi loro ritmi, a volte suadenti, molte altre incalzanti, molto spesso ipnotizzando gli spettatori e proiettandoli in altra dimensione spazio/temporale.
L’eterea “Teardrop” è l’unico punto debole del concerto poiché non riesce a conservare il suo incedere sognante e trascendente, forse perchè Stephanie Dosen, pur non essendone un surrogato, non è la Fraser e la sua interpretazione non incide, né trascina; davvero spiacevole che accada su “Teardrop” che, pur brillando di luce propria, registra l’unico calo di tensione dell’intero concerto.
La Dosen si rifarà più tardi regalando alla platea una intima “Red Light” (il pezzo migliore del disco prossimo venturo e uno dei migliori episodi in assoluto della serata) in cui darà quello che non è riuscita a dare in precedenza: il dreampop visto dai Massive Attack.
Con “Mezzanine” la musica comincia ad essere affiancata dalla politica e dall’ecologismo, dalla rivendicazione dei diritti umani grazie a numerosi slogan che appaiono in sincronia sulle bande luminose poste alle spalle dei musicisti. Si potrebbe discutere per ore sull’opportunità di questa scelta, a noi è parsa addirittura azzeccata, e soprattutto mai banale, inutile o scontata.
In “Harpsichord” le due batterie si inseguono, dando forma a una sensazione di suggestivo fuori tempo, contrappuntate dalla tastiera dissonante; “Inertia Creeps” con le sue percussioni si addice perfettamente alla cornice dell’arena, cornice che tra l’altro fornisce un’acustica perfetta confermandosi forse il posto migliore dove ascoltare musica nel sud Italia; le scritte scorrono veloci e ci informano sugli avvistamenti di veline in topless e accoppiamenti tra queste e calciatori, che Russotto sarà il vice Lavezzi e che, se in Italia il limite di giorni per stare in carcere in attesa di una condanna è di due giorni, nel Regno Unito è di 42 mentre negli Stati Uniti è indefinito; segue una “Safe from Harm” memorabile che resterà a lungo negli occhi e nelle orecchie degli astanti, il ritmo rotondo e vellutato esplode in una lunghissima e fragorosa coda noise di devastante potenza, una delle migliori cose che ci è mai capitato di vedere dal vivo dal punto di vista dell’impatto visivo, sonico, emotivo; un cortocircuito di luci e il susseguirsi di agghiaccianti frasi di Stalin e Pinochet che ti inchiodano con sguardo ebete per scoprire, leggendo, dove può arrivare l’aberrazione umana. Una sorta di “1984” in musica.
Il primo encore introduce un Horace Andy davvero in forma e dà modo di apprezzare anche dal vivo il velluto che emana la sua voce con una “Angel” in cui la musica pare provenire dal tuo stesso dentro, seguono le percussioni brasiliane di “Unfinished Simpathy” tutti ballano e la tensione accumulata si stempera.
Non è un mistero che Robert del Naja ami Napoli e il Napoli (leggere i ringraziamenti di 3D su tutti i dischi dei nostri per credere) e per il secondo encore risale sul palco sventolando la maglia di Lavezzi augurando un’altra grande stagione al Napoli in un’ovazione da stadio; parte “Karmacoma”: prevedibile e annunciata, prevista da tutti, la presenza di Raiz ai vocalizzi con Grant Marshall a filmare tutto. Abbracci, baci alla maglia e ritorno sul palco a ricevere cori da stadio.
Nulla è stato lasciato al caso, questo concerto ha dimostrato che dietro a una band spessa come i Massive Attack c’è tanta cura per il dettaglio e un lavoro sfiancante oltre alle idee e a un grandissimo talento
MERCOLEDI’ 23 LUGLIO 2008
R.E.M. + Editors + These New Puritans
La seconda serata del Neapolis 2008 è lo spunto per il concerto dei R.E.M., supportati, come in gran parte delle date europee, dagli Editors.
E’ quasi una replica dell’edizione del 2003 (anche allora ci furono i Massive Attack) quando nell’apocalittico e più suggestivo scenario dell’ex italsider, rispetto a quello più freddo della Mostra d’Oltremare di oggi, al trio di Athens, si unì Patti Smith per una indimenticabile “It’s the End Of the World”.
Il set degli Editors dura meno di un’ora e alterna, più o meno equamente, estratti dai due dischi all’attivo. Banale, scontato, inutile dire che gli Editors sono degli Interpol meno compassati e più reattivi dal punto di vista sia della presenza scenica che del coinvolgimento del pubblico (almeno un migliaio sono qui soprattutto per loro), ma dal vivo c’è una grossa differenza di spessore e lo scarto è a tutto vantaggio dei primi e, strano a dirsi, specie per i pezzi di “The Back Light”, dove le ritmiche ossessive e le taglienti chitarre in quattro manifestano un affiatamento della band davvero invidiabile. Il concerto è piacevole e ben suonato, si segnalano su tutte “Munich”, “Bullets” e “Smokers Outside the Hospital Doors”.
“Living Well Is the Best Revenge” segna l’esordio dei R.E.M. sul palco del Neapolis 2008 e sarà la premessa di una serata divisa nettamente in due, con i primi 40 minuti assai fiacchi e suonati da colletti bianchi del rock, e non solo per la mise di Stipe. Insomma tra una “What’s the Frequency Kenneth” addirittura noiosa e una oltremodo piatta “Drive”, in cui la band non riesce mai a creare quel crescendo di pathos che caratterizza il pezzo, è la totale assenza di dinamica nelle esecuzioni il minimo comun denominatore di questa prima parte di show; “Hollow Man”, annunciata da Stipe come la sua canzone preferita di “Accelerate”, “Houston” ed “Electrolite”, in cui Mike Mills passerà al Wurlitzer, non riescono mai a coinvolgere e a far presa sui circa diecimila presenti. L’unico che sembra uscire da questa esibizione incolore è Peter Buck, che però mai è assecondato dal resto della band.
E’ il ritornello tiratissimo dell’ottima “The Great Beyond” che risveglia musicisti e pubblico, che comincia a cantare in simbiosi con Stipe e che da inizio a un rock-act vecchia maniera, senza fronzoli, basato sull’essenzialità e sulla presenza scenica del frontman che per ben due volte è in transenna a cantare abbracciato dalla folla delle prime file. E’ proprio nelle aperture melodiche dei ritornelli di grande respiro che i R.E.M. danno il meglio di sé, così c’è spazio per una suggestiva “The One I Love”, mentre “Bad Day” conferma l’abilità di Mills ai cori; la trascinante “Imitation of Life” concederà alla band la pausa prima degli encore mentre precedentemente aveva deluso il breve intermezzo acustico di “Let me in” dedicata a Cobain coi musicisti tutti raccolti attorno al piano elettrico.
Il simpatico siparietto di “Supernatural Superserious”, in cui Scott McCaughey sbaglia l’attacco del riff scatenando la feroce ironia di Stipe che lo prenderà in giro per il resto del concerto, apre i bis che seguiranno con “Losing my Religion” suonata ormai col pilota automatico. Prima della chiusura Stipe dedicherà parole dolcissime alla città dicendo di esservi stato l’ultima volta in incognita e da turista, di aver visitato le strade più belle e di avervi addirittura comprato le più belle mutande d’ Europa. E’ davvero strano, sicuramente ingiustificato e tremendamente irritante, ma sembra che siano tutti innamorati del disincanto di questa città e così, dopo Robert Del Naja, c’è spazio per un’altra dichiarazione d’amore: “I love Napoli” introduce “Man on the Moon”, la sublimazione di un live act vecchio stile, ruffianamente attento alla geografia della platea, ma sostanzialmente onesto, fatto di luci e ombre dal punto di vista della mera esecuzione dei pezzi, in cui ha particolarmente impressionato la capacità di Stipe di essere ancora fresco e divertito dopo quasi 30 anni di palcoscenico.
GIOVEDI’ 24 LUGLIO 2008
Elio e le storie tese + Baustelle + Bluvertigo
Come sia venuto in mente agli organizzatori del Neapolis di far convergere nella stessa giornata due gruppi, uno simbolo della musica “alternativa” italiana degli anni novanta e un altro fatto di musicisti straordinari, con un terzo che non sarà mai simbolo di nulla e fatto di a-musicisti come i Baustelle (pronunciati con la e finale come fatto da Elio durante il suo show) non è dato sapere (forse hanno letto le recensioni di Kalporz, NdR 😉.
Baustelle
E’ proprio la band di Bianconi ad aprire la terza e conclusiva serata del festival con una performance di circa un’ora in cui hanno suonato quasi esclusivamente pezzi degli ultimi due dischi. In molti hanno detto di averli trovati migliorati e addirittura maturati rispetto a prima, non oso dunque immaginare il prima perché per chi scrive è la prima volta e perché la prestazione dei toscani è, a tratti, finanche imbarazzante. Quello che ti colpisce già dal primo attacco è quanto siano slegati e, soprattutto, con quale faccia tosta l’ingessatissimo Francesco Bianconi da Montepulciano si presenti a cantare essendo persino sprovvisto di una voce e dei fondamenti per farla funzionare, come si converrebbe quando per mestiere fai il cantante. Spesso devo seguire il labiale per poter capire che il pezzo è cantato e non, invece, una parentesi strumentale di esso. Così tra un “Corvo Joe” e “Un Romantico a Milano” a un certo punto ho preferito osservare il concerto dai gradini alle spalle del palco, posizione che mi riserva diverse perle quali l’arrivo del divertitissimo Elio, impressionatissimo osservatore del set dei Baustelle(e), e la corsa culminata in abbraccio genuflesso tra un claudicante Andy dei Bluvertigo e Faso degli EeLST. Incrocio persino (!) Irene Grandi che mi scruta per vedere se la riconosco: t’ho riconosciuta, sì, dal vivo sei molto più vecchia, fondamentalmente sticazzi, Irè. L’incontro ravvicinato mi fa temere il duetto, ma per grazia ricevuta l’ipotesi rimarrà tale.
Attendo inutilmente l’esecuzione di “Revolver”, magari Rachele si mette a mimare il testo del ritornello in modo da dare un senso alla sua presenza sul palco, ma mi devo accontentare di “Colombo” sulla quale chiedo lumi a chi mi sta vicino pensando fosse una cover di un pezzo di Battiato che non conosco. Finale con jam session di circa 5 minuti in cui non riesco a distinguere la chitarra dal basso, la batteria dagli occhiali di Bianconi.
A circa mezz’ora dalla fine del set dei Baustelle(e) una comunicazione di servizio avvisa che Morgan ha avuto problemi sull’autostrada e che i Bluvertigo si esibiranno, diversamente da quanto previsto, dopo Elio e le Storie Tese. E’un segnale del mezzo-disastro che caratterizzerà la prova dei monzesi.
Elio e Le Storie Tese
Definire concerto l’esibizione di EelST sarebbe assai riduttivo ed ingrato poiché, grazie alla nota vis comica, ironica e autoironica di Stefano Belisari detto Elio, questa diventa uno show multiforme a tutto tondo, fatto di gag irresistibili e tanta, tanta musica suonata impeccabilmente. Il tema della serata è l’eleganza e così tra un estratto dell’ultimo lavoro “Studentessi” e vecchie hit come “El Pippero”, “Born to be Abramo” e “Tapparella” c’è sempre modo di sottolineare l’eleganza dei musicisti; il modo di applaudire del pubblico che, secondo Amedeo Minghi, non dovrebbe applaudire per essere veramente elegante; il raggiungimento dei vertici dell’eleganza da parte dei Baustelle(e).
La cosa impressionante è la forma smagliante di tutta la band, Elio si alterna al flauto traverso, alle percussioni e alle chitarre attraversando i generi musicali più diversi, dal funky di “Gargaroz” al prog di “Plafone”, con estrema disinvoltura. Il set è corposo ed al limite della perfezione; non ci sono sbavature e molto raramente si può assistere a una performance perfetta dal punto di vista tecnico e allo stesso tempo efficace da quello più strettamente musicale, come quella di stasera. Gli Elio e le Storie Tese non sono mai virtuosamente fini a se stessi pur essendo degli incredibili virtuosi. Grandissimi.
Bluvertigo
Il rincoglionimento del Morgan post X-Factor, insieme alla sua raucedine e al resto dei Bluvertigo, entrano in scena a mezzanotte passata scusandosi e ringraziando per la pazienza. La prevedibile tensione accumulata tra i membri della band per l’episodio del ritardo, sommata all’atteggiamento tenuto sul palco da Castoldi, sfocerà nella plateale e prematura uscita di scena di Sergio Carnevale. Fine dei giochi e tutti a casa dopo appena 50 minuti di musica,
I sintomi si erano già avuti durante lo svolgimento del concerto, con i quattro elementi che sembravano entità autonome, prive di quella coesione che dovrebbe sempre caratterizzare l’esibizione di una compagine musicale. Ne avevo avuto un elegante esempio poco prima.
Mi delude particolarmente il contributo di Andy, che riesco a distinguere solo in 2 o 3 pezzi dei 10 suonati. Quelli arrivati con maggiore preparazione e professionalità sembrano essere Magnini e Carnevale: il primo sempre convincente e presente, il secondo potente e preciso.
Per questo Re-Tour mi ero ripromesso di non stare tanto attento alla forma e alla riuscita tecnica del tutto e mi schiero, infatti, dalla parte di quelli disposti a perdonare sia il mancato affiatamento dell’insieme che le numerose topiche al basso del biancovestito Morgan: lo ami o lo odi, c’è niente da fare! io propendo più per la seconda che per la prima, ma gli riconosco anche l’innegabile talento. In fondo sono qui per ascoltare canzoni che mi piacciono, nonostante chi le suoni mi sta amabilmente sui maroni; mi godo così senza tante seghe mentali il trittico “Sono=Sono”, “L’Assenzio” e “Complicità”, suonatissime e abbastanza cariche al di là dei problemi.
“Sovrappensiero”, “La Crisi”, sulla quale non riesco a trattenermi dal saltellare, e “Zero” chiudono la parentesi dedicata al loro ultimo disco in studio. Era ancora il XX secolo.
L’evocativa “Cieli Neri” (è nei pezzi più lenti che vengono fuori magagne di vario genere e che la raucedine si fa sentire di più) e “Iodio” sono il preambolo del clamoroso colpo di scena: appena finita “Altre Forme di Vita” il batterista si alza, viene verso il pubblico, scaglia le bacchette verso la folla e va via salutando tra lo stupore di tutti, musicisti compresi. Il coro Se…rgio, Se…rgio, Se…rgio…., improvvisato da Morgan per richiamarlo sul palco, sulle note di Sce…mo Sce…mo Sce…mo ha il sapore del fallimento e conferma i sospetti secondo i quali, l’ennesima reunion del 2008 sia avvenuta, nel caso di specie, più per cavalcare l’onda dell’improvviso successo mediatico del leader che per la voglia di ritornare a suonare insieme.