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Per riprendersi dallo shock psicanalitico di quei farabutti dei Verve (che oltre al danno aggiungono anche il carico di una beffa dal nome “Love Is Noise”, singolo-scherzo di pessimo gusto che pare quasi remixato da un Max Pezzali finto natalizio) non c’è niente di meglio che fare le valigie e prendere il primo treno utile in direzione Perugia-Umbria Jazz, per andare a sentirsi i R.E.M, band che con la professionalità (ma anche con il più elementare rispetto verso i propri estimatori) non ha mai fatto a botte, nemmeno nei frangenti più bui e difficili. Il momento è particolarmente propizio, con un disco di qualità fresco di stampa e un fortissimo aroma di entusiasmi ed euforie da primi anni Ottanta che si spandono nell’aria non appena si innescano le chitarre muscolari e tonificanti di “Living Well Is The Best Revenge”, giusto in apertura (quasi un manifesto programmatico) dell’ultimo album. Ad inaugurare le danze del concerto pensano ad ogni modo gli Editors, che possono essere ormai considerati con tranquillità (viste le numerose esibizioni) una vecchia conoscenza per il pubblico italiano e che proprio in questi giorni hanno l’invidiabile onore (e onere) di aprire tutte le date della tournè italiana della band di Athens.
Il gruppo di Birminghan appare in buona forma e in netta crescita rispetto all’apparizione romana (al Piper) di quest’inverno, dove avevamo avuto modo di vederli l’ultima volta. La parte ritmica soprattutto si mette subito in risalto con una scansione dei tempi netta e poderosa (grazie anche ad un basso particolarmente preciso nel tracciare le sue regolari geometrie) e tutti i successi della band filano via senza particolari intoppi o eccessive divagazioni, da “Bones”e “Munich” fino a “Smokers Outside…”, passando attraverso un paio di episodi inediti, il primo dei quali decisamente interessante nel suo indicare possibili prospettive di evoluzione futura. Per il resto si può parlare di qualcosa di molto simile ai Coldplay (senza però quel buonismo ecosolidale che nelle mani dei miliardari è sempre problematico) con un Ian Curtis affabile e gioviale (?!) alla voce che coverizzando pezzi di “War” o “October” degli U2 oppure, per i più enciclopedici, di “Crocodiles” dei gloriosi (quanto sottovalutati) Echo & The Bunnymen. Alla fine il gioco sta in piedi e, forse, il gruppo potrebbe regalarci nel prossimo futuro un vero grande disco, dalla prima all’ultima canzone. Ma non si finisce di pensare a questo che già è giunto il momento dei R.E.M.
Cominciamo dalla fine, quando con “Man On The Moon” i R.E.M. si congedano dal loro pubblico cantando insieme con un’unica voce. In quel momento ti siedi dove puoi, aspetti che la folla defluisca e ti interroghi su quello a cui hai appena assistito.
Ancora non sono passati i brividi sulla schiena per quell’interludio, a metà concerto, in cui Stipe e Mills, soli sul palco, hanno eseguito “Nightswimming” tra urla e lacrime di gioia trattenute a stento, per poi riunirsi in circolo col resto della band con chitarre acustiche e piano per trasformare la dolente dedica di “Let Me In” in una preghiera terrena e serena, con Stipe, spalle al pubblico, ripreso dall’alto e proiettato sugli schermi mentre con la gestualità totale del suo corpo asseconda le ascese incredibili della sua voce (da qualche parte lessi che potrebbe cantare l’elenco telefonico e commuovere un’intera nazione ed è vero).
Poi ti rendi conto che si è trattato in fin dei conti di un’urgente esibizione di rock’n’roll, iniziata con il fenomenale un-due-tre di “Living Well Is The Best Revenge”, “Bad Day”, “What’s The Frequency Kenneth” a dare fuoco alle polveri e proseguita con i brani più energici della loro carriera, con ancora la grinta di un gruppo di ragazzini entusiasti dell’opportunità di far ballare e star bene la gente agitandosi su un palco.
Sempre seduto, mentre ormai la gente è in coda all’uscita o ai banconi del merchandising, ti rendi conto che i brani più rock dell’ultimo “Accelerate” non sfigurano rispetto a quelli storici, così come le nuove ballate si amalgamano bene con le vecchie, accolte da ovazioni e cantate da tutto il pubblico. E ti risulta chiaro allora che i magnifici “Up” e “Reveal” sono stati penalizzati dalla scaletta non certo perché rinnegati, ma solo per una insopprimibile voglia di energia.
Con un sorriso poi ti viene voglia di ringraziare i tre di Athens per aver ripescato alcune di quelle gemme, oscure o meno, con cui rimpiangi di non essere cresciuto, invidiando chi aveva sedici anni negli ’80, canzoni che ti dicono qualcosa sulla tua vita e ti fanno sognare coi pugni serrati, rialzare la testa e ripartire per la tua strada.
E allora, mentre l’arena è quasi deserta e i bicchieri di plastica e le cartacce ti ruotano attorno spinte dal vento della fresca notte umbra, ti viene voglia di fissare in mente tutti i brani regalati dai R.E.M. in una serata straordinaria. Contando sulle punta delle dita elenchi “Drive”, “So Fast So Numb”, “The Wake Up Bomb”, “I’m Gonna Dj”, “The Great Beyond”, “Imitation Of Life”, “Electrolite”, “Houston”, “Ignoreland”, “Hollow Man”, “Horse To Water”, “Driver 8”, “Fall On Me”, “Orange Crush”, “Accelerate”, “Man-Sized Wreath”, “Get Up”, “The One I Love”, “Supernatural Superserious”, “Losing My Religion”, “(Don’t Go Back To) Rockville”, “1,000,000” (alzi la mano chi la conosce), oltre a quelle già citate (e pensi che basterebbe quest’elenco a rendere inutile una qualunque recensione) . Ventotto canzoni e una vita richiamata minuto per minuto in due ore di concerto.
Così ti alzi, levi la polvere dai pantaloni e guadagni l’uscita canticchiando ancora una volta fra te e te che è la fine del mondo e ti senti bene…
(Francesco Giordani & Lorenzo Centini)
21 agosto 2008