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Quando nell’affollato cartellone dei festival estivi ha fatto capolino il nome di Frequenze Disturbate ho avuto un tuffo al cuore: gli Yo La Tengo che chiudono il set con “I Heard You Looking”, sul colle della Fortezza Albornoz che domina la valle immersa nella foschia notturna, è un ricordo di quelli che staranno per sempre con me. Dopo un anno di silenzio il festival di Urbino ritorna con un cartellone interessante diviso in una serata al femminile e una al maschile, e Kalporz non poteva mancare.
SABATO 9 AGOSTO: LE SIGNORE
Purtroppo la prima novità dell’edizione 2008 è che alla Fortezza Albornoz quest’anno non ci suonerà nessuno: tutto l’evento si svolge nella pur sempre bella piazza Duca Federico, in passato teatro degli eventi pomeridiani e delle band emergenti. La prima sera è tutta dedicata alle signore: due fanciulle americane provenienti dagli ambienti indie che contano (quelli di Sufjan Stevens) e la nostra Cristina Donà a chiudere.
Tocca a Shara Worden, la titolare della sigla My Brightest Diamond, dare inizio allo spettacolo: come Annie Clark dopo di lei, si esibisce in un one woman show accompagnandosi solo con la chitarra, la drum machine e alcuni giocattoli rumorosi. Giocosa è tutta la sua esibizione, tanto che ci si dimentica quasi dell’ultimo album, “A Thousand Shark Teeth”, dove l’eclettica formazione musicale di Shara affiora compromettendo un po’ la spontaneità. Stasera Shara è divertita (nonostante, ci racconta, sia stata borseggiata poche ore prima) e ha voglia di divertire: si va da una bizzarra cover di “When Doves Cry” di Prince a improbabili ritmi techno, conditi da occasionali lanci di coriandoli e palloncini, ma con “The Ice and the Storm”, spogliata e ridotta ad una pulsazione ossessiva, la ragazza fa davvero sul serio. Sorpresa della serata è un brevissimo (e rumorosissimo) duetto con l’amica Annie Clark/St. Vincent su “Freak Out”.
Quando torna sul palco per il suo set, St. Vincent si è cambiata d’abito: graziosissima e ammantata di un candore quasi infantile, lo stesso che mescola alla grinta puntigliosa e testarda con cui ripercorre i brani del suo notevole album d’esordio. Le mani di Annie Clark volano sulla sua Fender a afferrare gli armonici di una scheletrica “Now Now”, il battito secco del piede risuona amplificato negli altoparlanti come un tamburo di guerra su “Paris is Burning”. A volte sembra leggermente tesa, ma la sua cover bluesy di “I Dig A Pony” dei Beatles fa sciogliere lei e tutto il pubblico. Quando ringrazia gli occhioni le brillano sinceramente per essere stata invitata a trascorrere qualche giorno a spasso in Italia. Che gli dei ce la conservino così a lungo.
La chiusura della serata in rosa è affidata a Cristina Donà: con nove mesi di date alle spalle il suo set è ormai una macchina rodata, ben sincronizzata nelle dinamiche del palco al suo servizio. Come d’uso in questa tranche estiva del suo tour, una Cristina rilassata e sinuosa apre il concerto in solitaria, con la chitarra acustica, infilando subito la sempre splendida “Mangialuomo”, e poi a metà di “Universo” fa il suo ingresso la band, resa più agile dall’assenza delle tastiere, come al solito impeccabile e misurata. I numeri migliori scorrono come previsto, dalla “ripescata ufficiale” di questo tour “Ogni sera” a “Invisibile” con il suo travolgente finale strumentale. Forse a tratti si respira una leggera aria di routine (il solito siparietto “romagnolo” su “Non sempre rispondo” con una coppia puntualmente invitata a ballare sul palco, stavolta più impacciata del solito), o forse ho visto troppi concerti di Cristina quest’anno… ma “Truman Show” ha un plus di mordente per riguadagnare una falsa partenza dovuta a un cavo difettoso, e lo spettacolo è come al solito piacevolissimo.
DOMENICA 10 AGOSTO: I SIGNORI
Dalla quantità di gente in giro per Urbino fin dal pomeriggio si capisce che il vero evento di Frequenza Disturbate 08 sarà stasera: i redivivi Massimo Volume, per quelli che c’erano e quelli che non li hanno mai visti. Tutto il resto conta poco o nulla.
Scivolano via come acqua fresca i Radio Dept., sul palco talmente rigidi e impacciati che sulle prime viene da chiedersi se sia un modo di tirarsela da indiesnob scandinavi. Ridotti a trio e privati della batteria, gli svedesi abbandonano le velleità shoegaze degli esordi e propongo un set di indietronica di stretta osservanza Notwist, voce monocorde su lente pulsazioni elettroniche. Quando Martin Larsson si accorge che qualcuno tra il pubblico riconosce i brani scioglie il suo cipiglio in un sorrisone: se non altro ci sono e non ci fanno, i nostri teneri orsacchiottoni dei ghiacci.
Si tratta di un breve antipasto in attesa del piatto forte: stasera sono tutti qua per rivivere un pezzo di storia del rock tricolore anni ’90, attraverso uno dei nomi che più l’hanno rappresentato e che a quei giorni aveva voluto limitare la propria esistenza artistica. Quando i Massimo Volume fanno ingresso sul palco, accompagnati dal nuovo chitarrista Stefano Pilla, vengono salutati da un boato. Emidio Clementi si staglia granitico contro le luci livide brandendo il suo basso, mentre la sua voce inconfondibile comincia a far girare le vecchie storie, come fossero nuove. Suona allora strano notare quanto nei brani dei Massimo Volume si parlasse di cambiamento, di atti definitivi: “è venuto il tempo di andare e dimenticare ciò che era e ciò che è stato”, quello che doveva essere l’epitaffio della band 10 anni fa, detto stasera è semplicemente una bugia, perché in piazza Duca Federico il tempo si è fermato, anzi è tornato indietro. Così vuole il pubblico rapito che urla all’unisono con “Mimì”, come in un rito pagano. Mettono soggezione i Massimo Volume, perché sembra davvero che non abbiano mai smesso di suonare assieme, tanto sono precise le meccaniche invisibili che tengono assieme i loro suoni, nei momenti dilatati come nel pieno delle tempeste noise: Egle Sommacal ha qualcosa di ascetico, come un samurai che misura ogni minimo movimento per trarne massimo effetto, Vittoria Burattini detta i tempi con un drumming preciso e asciutto, anche Pilla sembra un compagno di lungo corso tanta è la naturalezza con cui i suoi feedback si sanno adagiare sul suono della band. Così anche chi 15 anni fa se l’era perso stasera scopre la forza dirompente di “Fuoco Fatuo” dal vivo, ognuno urla “Leo è questo che siamo” come se lo sgomento fosse il suo personale.
Succede poi che assieme ai Massimo Volume se ne vadano in molti, sazi di emozioni e a caccia di stelle cadenti: e sì che dopo non suonano mica i Jalisse. È vero che gli Okkervil River non sono una rarità sui palchi italiani, anzi non sembra quasi vero di poter vedere così spesso dalle nostre parti una band con la B maiuscola come quella di Will Sheff e soci. Generosi e travolgenti come sempre, infilano i primi quattro brani uno dopo l’altro senza quasi lasciare respiro, con Will che ben presto deve togliersi la giacca, i capelli già appiccicati agli occhi. “Our Life is not a Movie…”, “Black” sono fuochi d’artificio nella notte di Urbino, Will si avvinghia al microfono e tira dritto per la sua strada anche a dispetto di corde che si rompono e problemi tecnici. Eppure, quando canta “I’ve got plenty of time to make you mine tonight” in una “So Come Back I Am Waiting” da urlo verrebbe da dargli una bonaria pacca sulla spalla, perché molti cuori stasera sono già stati rapiti, portati via da Mimì e compagni.
Una notte di San Lorenzo da ricordare, che chiude degnamente un festival che ci mancava. Non resta che auguraci che l’anno prossimo si possa bissare, e così negli anni a venire.