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Nextech Festival è alla sua terza edizione. Il programma, spalmato su tre serate, tende la mano a pubblici diversi, richiamando, allo stesso modo, giovani seguaci del recente movimento indie / nu rave, cultori elettronici della prima ora e discotecari poco attenti alle sfumature in cerca dell’evento. L’operazione, vista la mole di pubblico che ha invaso la Stazione Leopolda soprattutto nelle serate di venerdì e sabato, sembra perfettamente riuscita, anche considerando che, in una realtà come quella fiorentina, che vanta un sottobosco di appassionati elettronici vivo e fervente, per proporre qualcosa di interessante e ricercato bisogna, sempre ed inevitabilmente, fare i conti con i numeri. Fa, inoltre, molto piacere scorgere tra i presenti appassionati di altre estrazioni che riescono a godersi un dj set con trasporto e, soprattutto, con animo disposto alla scoperta.
Possiamo quindi parlare di un programma ricco, capace, come detto, di stimolare interessi eterogenei e fornire spunti e aggiornamenti con artisti di spessore, mostri sacri e rappresentanti di avanguardie.
Partiamo dall’esibizione dei francesi Poni Hoax, apparentemente un gruppo indie come tanti, capaci, per dare alcune coordinate, di richiamare i The National e, un attimo dopo, sprofondare in corpose trame elettroniche dove la cassa suona in quattro. Energia e consumata padronanza del palco trasmettono impressioni molto piacevoli, presentando ad un pubblico perlopiù orientato al dance floor una formazione che mostra personalità e che riesce a scaldare l’atmosfera.
Poni Hoax (Tommaso Artioli)
Dall’indie all’house music il passo, a questo punto, diventa breve; Andrea Esu da Roma, inchioda i presenti alla pista con un dj set che ricorda a tutti come si può essere sempre attuali, oltre le mode e in grado di portare avanti il proprio discorso. Il suo suono vibrante, sospeso tra house ed electro, non risulta per niente datato, anche se proposto in un momento in cui la minimal techno sembra avere il monopolio dell’avanguardia e del buon gusto. Un dj set molto più che piacevole e tecnicamente eccellente.
Andrea Esu (Tommaso Artioli)
Di alto livello anche il set di John Tejada e Arian Leviste. Un flusso sonoro mosso dal loro inconfondibile motivo minimal, capace di intrecciarsi con trame melodiche che, di quando in quando, rendono meno aspre le ritmiche che avvolgono la sala. Il massimo del genere è poi rintracciabile proprio nella conclusiva “The End Of It All”, traccia tratta da “Cleaning Sounds is a Filthy Business” (Palette, 2006) di John Tejada, resa, in questa occasione, ancora più bella di quanto ricordassi.
John Tejada & Arian Leviste (Tommaso Artioli)
Quella di sabato è, chiaramente, la serata dell’evento. E’ l’appuntamento da non perdere, quello per i cultori, ma anche per tutti quelli che sono lì solamente perché ne hanno sentito molto parlare. Lo si capisce da alcune isolate quanto ingiuste intemperanze nei confronti di Robert Henke dei Monolake mentre snocciola le proprie trame elettroniche, fatte di battute spezzate e tappeti ambient. Un buonissimo live per la verità, quello dell’unico testimone della formazione berlinese, certamente un tassello che completa l’offerta di una rassegna che, anche se trova nei dj set la propria massima fortuna, si pone come obiettivo quello di spaziare nelle espressioni più diverse e significative dell’elettronica.
Robert Henke / Monolake (Tommaso Artioli)
Dopo Henke, Jeff Mills, poco dopo la mezzanotte, si mette ai comandi. Parte subito forte e, senza imprevisti né sorprese, comincia a parlare subito il linguaggio della techno detroitiana. Anima e corpo, sudore e virtuosismi lo portano ad inscenare con la freddezza di sempre uno spettacolo che rende omaggio all’essenza stessa della figura del dj. Poco importa se alcuni dei presenti, sul finire degli anni ’80, proprio quando lui stava mettendo mano all’invenzione di questo suono, non erano ancora nati. Mills riesce, ancora dopo venti anni, a comunicare, stupire, coinvolgere, atterrire. Questo è l’effetto che ha sulla pista, mentre, su se stesso, convoglia costantemente passione a divertimento. Il suo solido repertorio, fatto di minimalismi ma anche di violente smanie percussive, fatto di dischi e macchine, rievoca le tappe fondamentali del processo di nascita e sviluppo della musica techno.
Nell’aria si respirano trasporto e partecipazione, mentre echeggiano staffilate elettroniche e scheletri di pezzi storici, scelti, oltreché tra le sue stesse produzioni, tra quelle del vecchio compare Robert Hood e di molti altri pionieri del genere.
Jeff Mills (Tommaso Artioli)
Purtroppo tre ore, questa la durata del dj set di Jeff Mills, passano in fretta e, quando per fermarlo sono state accese le luci nella sala, un popolo composto da ventenni come da ultratrentenni si è raccolto sotto il palco per salutare un ragazzo che da una ventina di anni fa il dj di mestiere e che ha dimostrato, anche in questa occasione, oltre alla dedizione per il proprio lavoro, l’umiltà tipica dei migliori. Indimenticabile.