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Death Vessel è il temibile nick-name di una one-man-band che ruota attorno alla figura del polistrumentista Joel Thibodeau, personaggio quanto meno controverso, giunto con discreto successo al suo secondo lavoro, sotto gli attenti occhi della sempreverde Sub Pop di Seattle.
Se si ascolta “Nothing Is Precious Enough For Us” e si supera il primo attimo di sbigottimento dovuto all’ambigua tonalità vocale di Joel Thibodeau, il quale si esprime con un falsetto tutt’altro che mascolino, si viene istantaneamente trasportati nei meandri placidi e tranquilli delle sue ermetiche liriche, passando attraverso tradizionali sferzate country, gustose melodie pop e preziosi attimi di rannicchiata intimità cantautoriale.
Il sound che ne deriva è solare, estremamente pulito, forse fin troppo attento alla componente melodica piuttosto che alla ricerca dei contorni di una personalità ben definita.
Sebbene le singole composizioni presentino aspetti lineari ed apparentemente semplici, la differenza viene scandita dalla voce di Joel Thibodeau, che possiede una rara ed indubbia capacità di ammaliare, toccando dal vivo alcune corde apparentemente nascoste: questa personale tonalità vocale evoca suggestioni del tutto particolari, sembra quasi di scorgere dietro alle righe quella sconsiderata ingenuità tipica dei bambini, esseri del tutto innocenti e pertanto speciali.
Ne viene fuori un lavoro piacevole, tenero, ricco di canzoni semplici, pure ed essenziali, al cui interno trova rifugio, seppur protetta tra montagne di ovatta, la tormentata anima country di un cantautore ai più sconosciuto ma tutto da scoprire.
Così il temibile vascello della morte si sgonfia blandamente della sua bruta apparenza e si rivela in tutta la sua semplice essenza, nelle fragili forme di un ben più innocuo origami di carta da zucchero, perfetto per solcare minuti rigagnoli e fiumiciattoli di collina, passando per gli spensierati paesaggi solari di “Block My Eye”, le timide cavalcate country di “Jitterakadie”, l’innocente essenza folk di “Bruno’s Torso” ed il malinconico intimismo di “Peninsula”.
Un tremolante vascello da cui salpare al più presto, prima che venga spezzato sotto gli impietosi colpi della prima brezza del mattino.
(Massimiliano Locandro)
20 ottobre 2008