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Era l’epoca di Napster, avevo appena iniziato a leggere il “Mucchio”. Una vita fa. In copertina, una volta, trovai una band dal nome orrendo. Mi colpirono immediatamente. In una fonoteca vicino trovai un loro disco, “Da qui”. Non mi piacque. Mesi dopo lo presi di nuovo a prestito: dovevo riascoltarlo. E avevo ragione: è tuttora uno dei miei dischi preferiti in assoluto.
Non li avevo mai visti dal vivo, però. E così, quando iniziò a circolare la notizia del loro scioglimento, fu molto triste. In pochi mesi se ne andarono loro, i CSI, gli Scisma, gli Üstmamò. La mia adolescenza musicale finiva male.
Passarono anni, libri, nuovi dischi. E all’improvviso, un lampo: i Massimo Volume sarebbero tornati. Qualche sospetto poteva esserci: negli ultimi mesi, Vittoria accompagnava spesso alla batteria i reading di Mimì. E poi Torino, il “Traffic”, e Urbino, “Frequenze disturbate”. E ora un tour intero.
Sono emozionato, e non lo nascondo, mentre Emidio Clementi mi racconta della voglia che ha, che hanno, di tornare a suonare.
Mi arriva la voce di un uomo tranquillo, che sta fremendo come per un ritorno a casa dopo tanto tempo. Solo raccontandomi del suo nuovo romanzo si fa quasi timido, troppo coinvolto, come avessimo toccato un tasto troppo personale.
Ci sono nuovi concerti, e un nuovo disco, un nuovo libro.
E’ una nuova partenza, in tutto e per tutto.
Torino e Urbino sono stati il vostro rientro. Ora però state per affrontare di nuovo un tour assieme. Quali sensazioni avete per questo nuovo esordio?
Una bella sensazione: siamo rilassati, abbiamo voglia di suonare. E siamo molto contenti, perché andremo a suonare nei migliori club d’Italia. Siamo carichi, ma sono terrorizzato dal rifare nuovamente, dopo tanti anni, 4 o 5 date consecutive. In scaletta ci sarà anche un pezzo inedito, “Esercito di santi”, che sarebbe dovuto finire nel nostro album “Club privé”, ma che poi venne scartato all’ultimo. E questo è per dare anche un senso di novità a questo tour.
Tra l’altro, tu ricomincerai anche a suonare il basso dal vivo, cosa che non facevi né con gli El~Muniria né nei tuoi reading…
Sì, infatti. Tolti un paio di brani, suonerò tutto io. Mi manca molto, e non vedo l’ora: suonare il basso mi sa sentire più parte del suono della band, mi sento più coperto, protetto.
Come è arrivata l’idea di fare nuovamente musica assieme?
La sonorizzazione del film è stata la molla (Il Museo del Cinema di Torino, assieme al “Traffic”, aveva proposto alla band di sonorizzare ““La caduta della casa Usher”, un film del 1929 di Jean Epstein). Ci avevano già fatto molte proposte, ma a questa non potevamo proprio dire di no. Forse, senza quell’offerta, non saremmo mai tornati insieme. Ci tenevamo anche a esserci ad Urbino: eravamo già stati alla prima edizione di “Frequenze disturbate”, e io ero tornato spesso lì per i miei reading. Dopo questa data arrivata all’ultimo minuto, ci siamo presi l’estate per riflettere, e alla fine ci siamo detti semplicemente: «Proviamo». Vogliamo anche fare un disco nuovo, comunque: stiamo già scrivendo qualcosa, e da gennaio ci chiuderemo in sala prove. Vedremo cosa succederà.
Certo che, con una storia come la vostra, deve essere una bella responsabilità, fare uscire un nuovo disco a nome della band… Anche tu, scrivendo della vicenda Massimo Volume ne “L’ultimo Dio”, raccontavi di come vi rendevate conto di essere stati importanti per qualcuno, che viveva le vostre canzoni come tu facevi con quelle di Jim Carroll…
Ma guarda, in realtà credo proprio che dovremmo partire proprio dimenticandoci la nostra storia. Quello che faremo dovrebbe suonare attuale e piacerci, dovrebbe tenere conto che sono passati sei anni dall’ultima volta. Dovrebbe ripartire da oggi, ecco. Non vorremmo continuare a suonare sempre le stesse cose: questo tour sarà soprattutto celebrativo, ma non voglio che sia così per sempre.
E…sì, ci siamo resi conto di essere importanti, ma solo dopo. La consapevolezza di quanto siamo stati importanti è arrivata solo in questi sei anni, e paradossalmente anche la nostra fama è aumentata nell’assenza: allora, eravamo solo uno dei gruppi della scena. Ed è anche per questo che vogliamo tornare a suonare…il nostro punto forte è sempre stato il live.
Nella band è entrato anche Stefano Pilia, uno che si è sempre mosso in ambiti avant…come cambia il vostro suono grazie a lui?
Con Stefano, credo che i Massimo Volume abbiano raggiunto la miglior formazione di sempre. Lo dico davvero: Stefano ci dà ancora più sicurezza, e in futuro credo e spero che voglia portare il suo apporto creativo al gruppo. Conto sulla sua creatività, il suo approccio elettro-acustico al rock mi piace molto, e credo potrebbe dare contribuiti molto interessanti al nostro suono.
Una curiosità: come hanno reagito Egle (Sommacal, chitarra, NdR) e Vittoria (Burattini, batteria, NdR) a alle cose che raccontavi sulla band nel tuo romanzo, “L’ultimo Dio”?
Con serenità, direi. Quella che ho raccontato nel romanzo era la mia visione delle cose, e della storia. Loro magari la pensano in modo diverso da me su alcune vicende, ma non mi hanno mai rimproverato nulla.
Come giudichi, a distanza di tempo, gli El~Muniria e i progetti in cui sono stati coinvolti gli altri in questi sei anni, dai Franklin Delano per Vittoria al disco solista di Egle (che per un po’ ha fatto anche parte della band di Moltheni e degli Ulan Bator)?
Erano tutte cose necessarie. Ognuno è andato per la sua strada, fino a che non abbiamo trovato di nuovo un punto di incontro salutare. Guarda, ora abbiamo un’età diversa: ci si avvicina, o si sono superati, i 40 anni. Una volta, come dicevo sempre, i Massimo Volume erano la mia grande storia d’amore, la band mi riempiva davvero le giornate. Ora abbiamo delle famiglie, c’è un approccio più salutare. A un certo punto ci eravamo come logorati: 12 anni insieme, quasi tutti i giorni…I Massimo Volume erano un contenitore dove potevi portare solo certe cose, era normale cercare altri sfoghi per evitare frustrazioni. Ora siamo di nuovo pronti, anche se comunque gli equilibri sono sempre difficili da trovare.
Ti racconto una scena agghiacciante. Al MiAmi di quest’anno, dove hai fatto un reading, ero tra il pubblico. Alle mie spalle è passato un tizio, che ha gridato all’amico: “Ah, sì, questi sono quelli che imitano gli Offlaga!”… Questo è un preambolo per chiederti se sei consapevole dell’influenza che avete avuto su molti, e cosa ne pensi della scena italiana, guardandola da fuori come hai fatto negli ultimi anni…
Beh, con gli Offlaga Disco Pax ci sono punti di contatto evidenti, così come differenze altrettanto nette. I Massimo Volume hanno seminato qualcosa che poi altri hanno raccolto, ognuno dicendo la sua. E questo sia detto con la massima benevolenza: conosco gli Offlaga, e mi piacciono molto. E’ che la gente ha la memoria corta, ed è più facile che i ventenni scoprano prima gli Odp e non noi.
Però io ricordo, tempo fa, di aver letto un’intervista dove dicevi che, appena ascoltavi qualcosa che “puzzava” di Massimo Volume, soprattutto nell’impostazione vocale, non riuscivi ad ascoltarlo…
Sì, questo era vero, ma adesso non giudico più in maniera così netta…Quello che vedo riguardo alla scena, però, è che c’è stato solo in parte un ricambio generazionale. Le cose migliori vengono ancora da Afterhours, La Crus (anche se ora stanno facendo il tour d’addio), Cesare Basile, Marco Parente…Tra le cose nuove mi piacciono molto Le Luci della Centrale Elettrica, ma… (si interrompe) E’ che in generale non mi piace la scena indie, e di gruppi della “scena” il MiAmi ne è pieno (ride, NdR): non so, è che non mi comunica molto. Io sono ancora molto affezionato al cantato in italiano: forse anche per questo mi è piaciuto molto il disco de Il Teatro degli Orrori. Non è qualcosa che metto sul piatto di frequente, ma hanno un approccio diverso rispetto agli One Dimensional Man, è un bel progetto.
Per te ci sarà anche un nuovo libro? Era stato annunciato per la primavera, ma poi non se ne è saputo nulla..
Sì, il libro è finito. Al 90% il titolo sarà “Tremendo forte”, e uscirà a gennaio per Rizzoli. E’ un romanzo ambientato a Bologna in un arco di tempo dagli anni ’70 alla metà degli anni ’90, ed è stato il mio libro più lungo da scrivere, il più impegnativo. E’ un romanzo in terza persona: dopo tanti anni ho abbandonato l’io narrante. E la maggior parte dei personaggi principali sono donne, per cui è stato un bel cambiamento di prospettiva. Non so, ci sono ancora troppo immerso, ma mi sembra un buon libro.
Spaventato dal passaggio da una casa editrice relativamente piccola come Fazi a un “mostro enorme” come Rizzoli?
Un po’, sì. Con Fazi potevo avere un contatto anche ogni giorno, mentre ho l’impressione che Rizzoli lo promuoverà bene solo se…inizierà ad andare bene. Però potrò arrivare in tutte le librerie, e non è un vantaggio da poco.