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Il solito Moltheni. Moltheni da un po’ di anni, e precisamente da “Splendore Terrore” in poi, è sempre lo stesso. Perché al di là dei proclami e dei paventati cambiamenti questo è un disco di canzoni che sanno ancora emozionare senza aver bisogno di impressionare l’ascoltatore e se stessi con la sterile ricerca del cambio di rotta o della soluzione ad effetto.
Un album in bilico tra visioni e rimpianti, tra la vita temuta e la vita che non torna, attraversato dalla scrittura lieve e pittorica del cantautore marchigiano, come in quei quadri astratti che ti piacciono perché sono così e non c’è bisogno di interrogarsi sui significati nascosti dalle trame dei colori. La realtà è vista attraverso una patina opaca che la deforma e la rende dissimile a quella voluta.
La formula è quella ormai consueta con gli arpeggi circolari di chitarra a fare da supporto all’intreccio delle liriche, mai immediate e costellate dalle metafore impossibili ormai care ad Umberto Giardini, affiancato anche stavolta da Pietro Canali al piano e prodotto da Giacomo Fiorenza.
“Vita Rubina” è un inno al rimpianto e alla pigrizia che porta al rammarico per le scelte che non hai voluto/saputo fare (“Ho rivisto le città che non mi sono appartenute/I miei anni come ombrelloni chiusi in piena estate”), reso ossessivo dal pedale di chitarra che l’accompagna dall’inizio alla fine.
L’atmosfera cupa di “Vita rubina” si dissolve ne “Gli Anni del Malto” in cui l’approccio alla scrittura è addirittura solare ed aperto e illuminato da una luce calda in antitesi con quella fredda al neon del testo. Atmosfera reiterata anche nell’immancabile strumentale a seguire.
La rivisitazione di “In Porpora”, seppure con un arrangiamento che la rende migliore, è per chi scrive un’operazione ridondante e non necessaria.
“Oh Morte” fa da spartiacque all’ipotetico lato b del disco in cui la scrittura e gli ambienti sonori si fanno, se possibile, ancora più intimi, gli arrangiamenti minimali. Moltheni trova così la dimensione più folk/(e basta), regalando due perle come “Corallo” e “L’Attimo Celeste (prima dell’apocalisse)” il cui punto di riferimento sembra essere lo Smog di “The River Ain’t Much To Love”.
Per l’inserimento di “Suprema” come traccia nascosta vale il discorso di “In Porpora” con la differenza che, in questo caso, l’arrangiamento le fa perdere tutta la solennità che la rendeva un pezzo davvero unico. Perché, Umberto?