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Verrebbe da chiedersi cosa succede in Svezia mentre un po’ ovunque cresce la preoccupazione per la crisi finanziaria e in Italia impazza l’ennesima inevitabile rivoluzione in scuole e università. Cosa succede? Niente di che. In un paese in cui da decenni si è trovato il giusto equilibrio tra un intervento statale in piena logica neocorporativa e apertura ai mercati internazionali le formule recentemente adottate da Stati Uniti e Gran Bretagna sono pane quotidiano da tempo. Molte aziende nazionali trionfano nella competitività globale perché investono, si innovano, si evolvono senza ripudiare un sostegno pubblico che non è mai una semplice elemosina. Così come le scuole, totalmente gratuite, le università in cima ai ranking mondiali in cui non si paga un centesimo di tasse o i master, per i quali si è persino finanziati con prestiti e sussidi.
E la musica? Stessa storia. Non è difficile intravedere negli ingenti fondi statali destinati a scuole musicali per l’infanzia e radio indipendenti la recente proliferazione dei fenomeni nazionali d’esportazione, indie e meno indie. Le cifre, in crescita, parlano chiaro: negli ultimi anni la Tonsättares Internationella Musikbyrå, la loro SIAE, ha ottenuto in media 35 milioni euro di royalties sulla musica svedese passata all’estero. Mica male per un paese che ha la stessa popolazione di Torino, Milano e Bologna messe insieme, con una proposta musicale e un successo internazionale neanche lontanamente comparabile. E non sembra una semplice questione di dimestichezza con l’inglese, purtroppo.
Si spiega anche così il successo di band tutt’altro che easy-listening quali i Radio Dept. (myspace) da Lund. Capaci di stupire nel 2004 con l’agrodolce “Lesser Matters” (recensione), uno dei dischi più interessanti degli ultimi anni, vera boccata di ossigeno per i nostalgici di My Bloody Valentine et similia. Per poi deviare meno proficuamente su un cupo “Pet Grief” dai suoni meno saturi e più figli del dark dei primi Cure. Dopo aver offerto ben tre brani a “Marie Antoinette” di Sofia Coppola stanno mixando il terzo album. L’hype di questo “Clinging To A Scheme”, preannunciato da un EP prima dell’estate (“Freddie And The Trojan Horse”, youtube) e da un mini-tour, cresce per la scelta, non si capisce quanto strategica, di rinviare continuamente l’uscita inizialmente prevista per inizio settembre.
Nell’attesa ci piace ricordarli più shoegazer che mai, con un brano dall’ottimo esordio.
Radio Dept – Why Won’t You Talk About It
Un altro esempio di successo imprevedibile quanto clamoroso risponde al nome di I’m From Barcelona (myspace). Da big new name di NME al contratto con la EMI nella variopinta esplosione di sentimenti e colori di “Let Me Introduce My Friends” (recensione) in cui provavano a tirarsela con poca credibilità ammettendo di venire fuori dalla capitale catalana (youtube) piuttosto che dalla natia Jönköping. Dopo un anno sono già tornati alla ribalta con un nuovo album. “Who Killed Harry Houdini?” un po’ come “Dig, Lazarus, Dig!!!” (recensione) di Nick Cave ispirato a partire dal titolo al celebre illusionista statunitense, è un lavoro più maturo e meno festaiolo che non rinuncia alle ubriacanti overdose di strumenti e arrangiamenti orchestrali. Sarebbe interessante chiedersi come si guadagnano da vivere i 28 membri del collettivo che dividono gli utili con l’eccentrico Emanuel Lundgren, fondatore e titolare della risposta scandinava ai Polyphonic Spree. Vengono dallo Småland, sud del paese, il regno del design scandinavo. Forse la risposta è tutta qui.
I’m From Barcelona – Paper Planes
Non se la dovrebbero passare peggio, in quanto a royalties e incassi, neanche gli Oh! Laura (myspace) , quintetto di Stoccolma guidato dall’interessante voce di Frida Öhrn, protagonisti di un buon esordio l’anno scorso con “A Song Inside My Head, A Demon In My Bed”. Voce e atmosfere da telefilm americano (“A Call To Arms”) e sprazzi acustici più intensi e fatali tra Klima (Piano Magic) e Olivia B. Merilhati (the Dø). Il loro potenziale pop è emerso nel singolone “Release Me” esportato in Europa e oltre, grazie allo spot di una famosa ditta automobilistica svedese (youtube), poi brutalmente sdoganato come tormentone di Svezia, dallo spudorato The Attic Remix (youtube).
Meglio ricordarli per l’elegante southern-folk della sinistra “Killer On The Road”.
Stesso discorso per le cinque Those Dancing Days (myspace), passate di recente anche in Italia per un’unica data italiana alla Casa 139 di Milano. Giovanissime, la più vecchia ha 19 anni, vengono da Stoccolma e nel loro 80’s revival, tanto apprezzato dalle parti di Londra, richiamano certe sonorità di Blondie. Fatto sta che sono riuscite ad accontentare tutti. Da NME a MTV che le ha incluse nelle nomination-EMA per la categoria “Best Swedish Act”. Il loro primo LP, “In Our Space Suits” (singolo di lancio “Home Sweet Home” – youtube), in uscita in questi giorni, conferma le sonorità e i pregi dell’EP che le aveva lanciate con l’irresistibile singolo che portava, come del resto l’EP, il loro nome. Dal vivo il suono è più ruvido e aggressivo grazie alla batterista che pesta come si deve. Sprazzi di Long Blondes, o se preferite di Siouxsie. Suono meno zuccheroso che su album, compensato però da balletti svampiti, palloncini e lanci di caramelle in platea.
Timide ma efficaci.
(Piero Merola)
Le puntate precedenti
IKEA-POP vol.1
IKEA-POP vol.2
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