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Chiunque abbia suonacchiato in sala prove oppure abbia comunque il problemino di avere una passione maniacale per la musica non potrà che ritrovarsi nel primo romanzo di Giampaolo Corradini, “Studio Seltz” (Aliberti Editore), e non finire ad impersonificarsi in Davide, Flanella, Aspirina e negli altri “mixerabili”, i gestori tecnici del suono del Seltz. Personaggi che si arrabattano nella vita ma riescono appieno a vivere solo dentro a quella sala prove reggiana un po’ lercia, tra microfoni, aste e amplificatori e maldestre avventure amorose, perché solo lì il rock ha davvero l’importanza che la vita dovrebbe tributargli.
“Amore, fumo e rock’n’roll in sala prove” dunque, come recita il sottotitolo, per quello che potrebbe essere definito un “Alta Fedeltà” italiano. Kalporz ha intervistato molto volentieri l’autore.
Togliamoci subito la domanda inevitabile: se e quanto è contato “Alta Fedeltà” nella decisione di voler raccontare le storie del Seltz?
“Alta fedeltà” è un libro fondamentale per chiunque ami la musica, che ha avuto l’enorme pregio di aprire una strada per il rock in letteratura. Oltre ad essere un libro molto divertente. Sinceramente, però, non credo sia stato una grossa influenza su “Studio Seltz”, a parte una citazione, un piccolo omaggio che ho intenzionalmente fatto in un botta e risposta di dialogo nel sottofinale del mio romanzo. Il libro di Hornby dà alla musica rock (o pop, come la definisce lui) un ruolo molto diverso da quello che ha in “Studio Seltz”. Là il protagonista è un ascoltatore passivo, che alla fine si attiva come produttore, trovando consolazione in un ruolo comunque artistico. I miei protagonisti, invece, sono artisti a 360 gradi, o almeno aspiranti tali, al punto da perdere contatto con la vita reale, quotidiana, con la quale, alla fine, sono costretti a fare i conti. Con tutti i traumi, ma anche le possibilità, che questo comporta. In sostanza, la prospettiva è completamente ribaltata. In comune c’è l’ossessione per il rock, di stampo più collezionistico in “Alta Fedeltà”, molto più di pelle in “Studio Seltz”. Mi piacerebbe potessero essere accomunati soprattutto per il numero di copie vendute…
L’universo reggiano è fatto, per il resto d’Italia, di Ligabue e degli Offlaga Disco Pax, dei Nomadi e di Giovanni Lindo Ferretti… è questa la Reggio Emilia musicale che c’è in “Studio Seltz”?
Anche. Nomadi a parte, gli altri gruppi che hai nominato sono passati da Studio Seltz e tutti, come scrive Massimo Zamboni nella splendida prefazione al mio romanzo, sono passati da uno di “tutti i Seltz del mondo”. Ma questi nomi sono anche una maledizione per i “mixerabili” protagonisti del mio romanzo: sono la conferma che è possibile farcela e quindi una scusa a continuare a provarci anche quando l’età avanza, le occasioni non arrivano e ci si rende conto che sarebbe meglio cominciare a cercare un lavoro dalle 9 alle 5. Ma tutto il sottobosco di gruppi indipendenti contribuisce a formare un patrimonio davvero interessante per la città di Reggio Emilia che, a mio modo di vedere, non è stato promosso in maniera adeguata quando, una decina d’anni fa, la scena reggiana ha toccato il suo apice. C’erano davvero tante band che avrebbero meritato maggior fortuna e che, invece, per un motivo o per l’altro si sono perse. È un peccato, ma anche tutta materia per il mio romanzo.
Qual è il racconto a cui sei più legato, e perché.
Nella mia playlist personale ci sono alcuni capitoli, alcune “canzoni” del mio “concept album”, che mi piacciono più di altre, ma non voglio dire quali. Un po’ perché sto scoprendo che ogni lettore ha la sua preferita – che, fortunatamente, non è sempre la stessa per tutti, anzi -, un po’ perché ogni episodio contribuisce al disegno finale del libro. Posso invece dirti che le soddisfazioni maggiori le ho provate scrivendo quelle storie i cui protagonisti hanno gusti musicali completamente diversi dai miei: entrare in un personaggio con idee che non condividi e renderlo comunque vero, credibile e magari simpatico ai lettori è una grande soddisfazione per uno scrittore. Soprattutto in un romanzo come “Studio Seltz”, nel quale la musica recita un ruolo fondamentale.
Il libro è ambientato negli Anni Novanta… e adesso, cosa succede in questa decade alle sale prove? Il Seltz del libro potrebbe convivere con Myspace?
Sta succedendo quello che succede a tutti gli altri settori legati all’industria del rock: una trasformazione senza precedenti. Fino all’avvento del digitale non ci sono stati grandi sconvolgimenti nel processo di registrazione, distribuzione, vendita e promozione, che sono sempre passati attraverso i canali consueti. Nel giro di pochi anni è invece cambiato tutto. Il Seltz del libro potrebbe convivere tranquillamente con MySpace, acquistando in visibilità ma perdendo altri aspetti: una volta la sala prove era il vero social network, nel quale i musicisti passavano diverse ore la settimana anche solo per andare ad annusare quello che facevano gli altri. Oggi basta ascoltare gli Mp3 che i gruppi caricano sulla propria pagina web. Non voglio dire che oggi sia meglio o peggio, è semplicemente diverso. Le storie di “Studio Seltz”, così come l’ho scritto, oggi non potrebbero più accadere. Ma ce ne sarebbero, e ce ne sono, altre, magari anche più divertenti. E non è detto che un giorno non decida di raccontarle.
Ironia e amicizia mi paiono inscindibili per i protagonisti in Studio Seltz… è così?
Beh, sì. Perché il Seltz inteso come social network ti permetteva di entrare in contatto con spiriti affini, se non nei gusti musicali certamente nella musica intesa come priorità assoluta della propria vita. E, visto il giudizio che fidanzate, genitori e amici esterni davano a questa scelta, era inevitabile trovarsi a proprio agio tra “mixerabili” e condividere gioie (poche) e delusioni (molto più numerose). L’ironia e, più spesso, l’autoironia è l’unica arma con la quale i miei personaggi possono combattere l’invadenza e la ferocia del mondo esterno, ben sapendo che si tratta di una battaglia persa in partenza, ma che vale comunque la pena combattere. Non fosse altro perché c’è una colonna sonora della madonna…
Perché il manoscritto è rimasto chiuso in un cassetto per quasi dieci anni?
Per molti motivi. In primo luogo perché, avendo per l’appunto un impiego dalle 9 alle 5 (che a volte sfora fino alle 7 o alle 8), il lavoro di revisione e correzione è stato spalmato su un periodo lungo. Ma, soprattutto, quando mi sono trovato ad infilare le fotocopie nelle buste da spedire “alla cortese attenzione del direttore editoriale” della “spettabile casa editrice” mi sono fermato: mi sembrava una fatica inutile, il classico messaggio nella bottiglia gettato in mezzo all’oceano. In tutta onestà, e a rischio di sembrare presuntuoso, ero e resto convinto che il mio romanzo meritasse qualcosa di meglio. Così, ho aspettato di imbattermi – anche grazie al mio lavoro di giornalista – in una casa editrice adatta: volevo consegnare il manoscritto ad una persona in carne ed ossa e non a un nome scritto su una busta. L’ho fatto e nel giro di soli sei mesi (credo sia un record) il mio romanzo si è trasformato da manoscritto fotocopiato a libro distribuito da Rizzoli in tutte le librerie italiane.
Massimo Zamboni, il giornalista Alessandro Gandino e Giampaolo Corradini ad una delle presentazioni del libro
Ma allora, come ti chiedi tu: è possibile diventare adulti quando si respira musica rock in ogni secondo della propria giornata?
Credo proprio di sì, anche se è tutt’altro che facile. Ai protagonisti del romanzo succedono cose molto diverse. C’è chi ce la fa, chi riesce a cambiare vita con grande soddisfazione e chi, invece, si perde per strada. Ma sono sinceramente convinto che la sorte migliore sia quella che tocca a chi riesce a diventare un “adulto rock”, ovvero a fronteggiare la vita, la quotidianità, le responsabilità, la noia e l’ansia per il tempo che passa mantenendo sempre viva una parte di quella passione, di quell’amore per la musica e trasferirla sul lavoro, sui rapporti interpersonali ed affettivi, in ogni aspetto della vita “vera”. Non è facile, ed è una continua battaglia che, però, può essere vinta. Con un po’ di fortuna. E molta, molta autoironia.
(Paolo Bardelli)
Info:
http://www.myspace.com/studioseltz