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Ho sempre considerato i Travis, anche nel momento di maggior splendore, come un gruppettino melenso e “leggero” come il classico gattino attaccato dove sapete voi. Una prelibatezza per semi-depressi che non avevano sufficiente fegato per quelle cartole degli Oasis, e per ascoltare gli Oasis tra l’altro non ci vuole alcun fegato.
Per cui quando me ne parlavano nel 1999 facevo orecchie da mercante ma non potei rifiutarmi – era inevitabile per esigenze di conoscenza musicale – di far finire nella mia cdteca quello che dovrebbe essere ancor oggi il top (ah beh alora!) della produzione della band di Glasgow, ovvero “The Man Who”. Cibo per piccioni.
Quasi dieci anni dopo, come il classico cinese che sa aspettare lungo la riva del fiume, il sottoscritto vede passare non i Travis – già cadaveri allora – bensì i sostenitori di questa piuttosto inutile band che stanno affogando nella produzione tremendamente mediocre che i quattro hanno offerto nella presente decade. Alla quale si è aggiunto il 29 settembre 2008 un ulteriore capitolo, “Ode To J. Smith” (Red Telephone Box), da cui è tratto il singolo “Something Anything”, che melodicamente non è neanche poi malissimo ma ha sempre il solito difetto dei Travis: è stanco e deprimente.
I Travis ormai sono un imbolsito incrocio tra i Manic Street Preachers e i Bad Religion, di cui non se ne sente di certo l’esigenza.
Travis, “Something Anything”
(Paolo Bardelli)