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Non ascolto spesso musica del passato, a volte ci sono troppi aggrovigliamenti legati a questo o a quell’altro pezzo per poter essere obiettivo, preferisco buttarmi sulla (quasi) contemporaneità.
Magari scopri che un pezzo che amavi alla follia non ti dice più niente, che l’hai ascoltato troppo o che ha avuto la sfortuna di essere la colonna sonora di un momento sbagliato e allora… che fai? E’ finita. Meglio tenersi strette certe emozioni come erano. Originali.
Però capita anche che – per ragioni non volute – si venga a contatto con qualcosa che era tanto che non si ascoltava, e che ti torni a folgorare: pochi giorni fa “Stay (Faraway, So Close!)” mi ha fatto questo effetto, e dire che gli U2 ormai un po’ tutti li abbiamo messi nell’ultimo angolino del cervello (gli U2 non esistono più, gli U2 non esistono più!).
Ho riscoperto che è (ancora) la canzone che amo di più degli irlandesi, troppo sottovalutata rispetto a “One” che tutti citano ma che è terribilmente più lecchina. “Stay” è fiera: The Edge pizzica una chitarrina non effettata e il cantato si fa universale, il crescendo insopprimibile fino ad un finale inaspettato (“Solo un botto improvviso / E il rumore / Come un angelo che cade a terra”) che chiude, come una porta che sbatte, il mondo che si era aperto.
Un mondo di angeli che proteggono e vegliano su di noi, e che ci dicono cosa sentono, o meglio quello che non sentono (“Quando ti tocco, non senti niente”); nonostante questo, queste creature vogliono solo aiutarci più di ogni altra cosa (“E se gridi / Solo io ti sentirò”).
La canzone, come tutti sanno, è stata inclusa anche nella colonna sonora del film “Faraway, So Close!” di Wim Wenders (che ha diretto il video ufficiale assieme a Mark Neale), ma in una versione con un missaggio più heavy (ci sono sovraincisioni di percussioni) che toglie tutto il fascino e il respiro del brano, rendendolo più ossessivo.
U2, “Stay (Faraway, So Close!)” (Soundtrack Version):
Assieme a quell’intro eterno di “Zooropa”, “Stay” per me è il luglio del 1993: cartelloni ovunque a Nizza che pubblicizzavano l’imminente uscita dell’attesa prova dei quattro di Dublino con tutte quelle stellette che per noi ventenni volevano dire Europa Unita Chissà-Dove-Ci-Porterà? (“London, Belfast and Berlin”), l’enorme supermercato di La Coruña dove lo comprai per poi ascoltarlo solo a casa, in una giornata assolata come non mai, aspettando di reincontrare una ragazza che non sapevo se avrei trovato cambiata.
Quell’Europa e tante altre cose non sono andate poi così lontano, adesso lo si può proprio dire.
(Paolo Bardelli)
Le puntate precedenti
Back To The Future Vol.3 – La lettera dei R.E.M. e di Thom Yorke
Back To The Future Vol. 2 – Massimo rispetto per i metallari (1987-89)
Back To The Future vol. 1 – L’estate di Napster