Share This Article
Ci mancava anche questa ad amplificare quella spiacevole sensazione di deja vù che già collega preoccupantemente la nostra epoca agli anni Ottanta dell’edonismo sfrenato, del thatcherismo, del Drive In, dei paninari e compagnia bella: il ritorno in auge della Milàn-la-gran-Milàn, con gli aperitivi e la vita da yuppies! E nemmeno, si badi, di un’altra Milano da Bere o di un rampantismo nuovo di zecca che si metta sulle orme lasciate dai rispettivi Papi, ma proprio di quella stessa Milano vecchia di vent’anni e fischia: gli stessi che rampavano allora (quando i primi telefonini avevano le dimensioni di cabine telefoniche) rampano ancora oggi che hanno conquistato la loro poltrona di pelle umana, fatto crescere la panza e si godono i propri settantesimi compleanni dalla terrazzina degli imperi edili che hanno messo su. “Milanissisippi burning” intitolano i Wu Ming in uno dei loro puntualissimi comizi a proposito dei recenti episodi di razzismo: ma se di incendio si tratta, è senz’altro a fuoco lento, la stancante agonia di una città-impero che anche Massimo del Papa nel suo ultimo editoriale ha efficacemente definito come una “balena piaggiata”
Chissà come, chissà perché negli ultimi due anni anche in campo musicale la nostra scena alternativa ha registrato un netto intensificarsi di invettive contro il capoluogo Lombardo: vuoi perché ad oggi si contano undici anni di incontrastato dominio da parte delle giunte di Centrodestra sul comune della città, (e l’ultimo biennio è quello marcato Moratti) vuoi perché la Milano odierna, con la sua classe dirigente rediviva da Tangentopoli, si presta particolarmente a fare da specchio fedele al belpaese tutto. Si scrive Milano, si legge Italia.
Gli ultimi in ordine di tempo sono stati i siculi Marta sui Tubi, che alla loro città adottiva hanno dedicato la title track del loro lavoro più recente, “Sushi & Coca” (2008): “Milano sushi e coca, Milano paga e scopa, (…) Milano un sospiro a San Siro e uno sparo di sera (…) Milano con la camicia stirata e la faccia raggrinzita (…) Milano esibizionista ma introversa” La bella faccia della capitale della Moda e quella stracca da accanita consumatrice di polvere bianca: due universi speculari e paralleli che già un con-terrone di lusso come Cesare Basile aveva cercato di mettere a confronto solo pochi mesi prima, dando loro appuntamento attorno a un tavolo. “Siedono vergini in prima fila con i banchieri fritto di pollo, i partigiani listati a lutto con gli stendardi griffati Corona” belle e brutte facce della città ferme per l’ora aperitivo. Ma è un aperitivo con sorpresa, si parla di un “ordigno” che ci riporta la mente al Bombarolo di deandreiana memoria: un botto di sacrosanto tritolo per terminare l’agonia di un’intera città. E allora è il Terrone che invita: “venga chiunque a fare banco vengano pure a grufolare, qui non c’è gloria non c’è onore da serbare. Nel fiato corto di Milano lungo un naviglio da espiare, il fiato marcio di milano e di un terrone”
A concludere la parata dei trapiantati, un acquisto recente, il ferrarese Vasco Brondi aka Le Luci della Centrale Elettrica che del grigio fascino industriale trae alimento per il proprio immaginario metropolitano: “che Milano era veleno, che Milano era veleno
era un deserto al contrario un cielo notturno illuminato a giorno (…) Milano da bere, Milano da pere, amori interinali e poliziotti di quartiere, nei bar deserti sui navigli per ammazzare il tempo ci siamo sconvolti” Procedendo per immagini si ritrova lo stesso contesto descritto da Basile, soltanto… deserto, completamente privo di anime vive! Brondi ha spostato le lancette un po’ più in là a quando l’ordigno avrà davvero fatto “il suo dovere” e avrà lasciato Milano orfana delle sue contraddizioni.
Stilettano più in profondità gli indigeni aficionados, residenti & resistenti all’egemonia a-culturale che si portano dietro da una vita intera: “Musicalmente parlando dominava il nulla, un vero deserto e noi eravamo costretti a inventarci ogni cosa, persino i luoghi dove poter suonare.” A ricordare e sentenziare sui famigerati Ottanta questa volta è Manuel Agnelli, intervistato da Marco Philopat per XL. I suoi Afterhours, quelli che “Milano non è la verità” e “gli architetti sono qua hanno in mano la città”, sono recentemente tornati sul luogo del delitto intitolando il loro ultimo capitolo discografico “I Milanesi Ammazzano il Sabato”: Scerbanenco, certo, ma anche un pochino di Bret Easton Ellis e del suo Patrick Bateman che ad una vita da giovane di successo ne accompagnava un’altra da serial killer professionista.
I fucili di Agnelli, invece, rimangono puntati sugli stessi obiettivi di ieri, quei giovani su cui avrebbe volentieri scatarrato su, rèi di non essere cambiati di una virgola: “chi affronterà i maglioncini degli insorti? Blog, rhum e Coca(ina) per battere il Sistema. Chi salverà la mia città?”.
E ancora, dall’intervista: “Da anni Milano è tornata ad essere una città di destra…centrodestra mi fa ridere, secondo me è una città di destra e con tutto quello che ne consegue dal punto di vista sociale e culturale. La mostra più vista negli ultimi anni è stata la mostra dei Goti!”
Su questo stesso tasto battono tre neonati della scena meneghina, i Ministri, che già provocavano quando cantavano che “i parchi qui a Milano li capisce solo il peruviano (…) la musica a Milano annega all’idroscalo” o quando, proprio sulle web-pagine di Kalporz, denunciavano “quel paludone che si porta dietro tutto.(…) I radical chic sono arrivati (…) a scena già esaurita, e non sono mai andati da nessuna parte “. Ora dal loro blog tornano a puntare il dito e questa volta contro quest’omino qui sotto.
Trattasi di tale Massimiliano Finazzer Flory, assunto di fresco quale Assessore alla Cultura di Milano dal sindaco Letizia Moratti. Uno Sgarbi ispirato l’ha già definito “protesi della Moratti e assessore ai suoi vestiti” e anche senza dargli il credito che non si merita, non è difficile essere d’accordo. Il Finazzer ha davvero il phisique du role e l’aria poserona da radical chic di cui sopra, da artistoide formato aperitivo: se i contenuti terranno fede alle apparenze, la cultura si ritroverà ancora una volta nei salotti.
A constatare quanto tardi ad arrivare quella spinta dal basso che auspichiamo e quanto poco cambino le cose dall’alto, vien da regalare l’ultima citazione al Teatro Degli Orrori: “Ed è per questo che odio Milano facce seccate e il cielo plumbeo piange pioggia giorno e notte” : il grigiore e l’immobilismo della gente che fa pendant con il cielo nuvoloso. D’accordo, avete ragione. Sempre le stesse facce ma pure sempre le stesse questioni e le stesse critiche: ma questo, se permettete, fa parte del problema.
MiniPlaylist_Editoriale
Marta sui tubi. Sushi e coca
Cesare Basile. Il fiato corto di Milano
LeLucidellaCentraleElettrica. Nei garage a Milano Nord
Ministri. Il peruviano
Afterhours. Tema: la mia città
Il Teatro degli Orrori. Il turbamento della Gelosia
(Simone Dotto)