Share This Article
Volgendo uno sguardo all’indietro ci sentiamo in diritto di distribuire almeno un paio di meritate pacche sulle spalle: la prima spetta ovviamente a Giuseppe “Dente” Peveri per esser riuscito ad imboccare la strada giusta e esser “venuto su” così bene e nel giro di così poco. E la seconda, consentitecelo, ce la assegniamo noi da soli, per aver indovinato le strade evolutive e azzeccato i numi tutelari ancora quando i tempi non erano così sospetti.
In breve: l’ep “Le cose che contano” non diceva bugie e, a neanche un anno di distanza, le sue promesse di evoluzione sonora possono ora dirsi concretizzate in una bella opera terza. “L’amore non è bello” è quanto di più elaborato e complesso il cantautore fidentino ci abbia regalato finora, anche se con un grosso debito contratto in alto: tra i nomi scomodati la volta scorsa, Lucio Battisti è quello che più spesso ritorna quando si hanno nelle orecchie queste tredici canzoni di NonAmore. Fino dall’ouverture de “La presunta santità d’Irene” (che omaggia dichiaratamente suoni e atmosfere à la “Anima Latina”) il Nostro Caro Angelo torna più volte a svolazzare sui momenti ispirati dell’album e ne benedice la riuscita: bastano le ingenue pennellate di sintetizzatori e tastiere in “Sole” o l’uso dei fiati di “A me piace lei” per richiamare quei timidi pionierismi filo-progressivi propri del miglior pop italiano degli anni settanta.
Certo, riferirsi a Dente unicamente come ad un traghettatore del verbo battistiano ai tempi nostri potrebbe anche risultare un po’ ingeneroso nei suoi confronti: in fondo è a lui e a nessun altro che va il merito di esser riuscito a coltivare le sue qualità naturali di autore ironico fino a saper comporre una cinica elegia amorosa come quella di “Buon appetito”. Né si può ascrivere a speciali ispirazioni dall’alto l’equilibrio sapiente e surreale delle liriche di “Parlando di lei a te”, altra prova della sua raggiunta maturità da scrittore. Eppure considerare questo singolo episodio della sua discografia alla stregua di un devoto omaggio al proprio ispiratore non significa necessariamente fare un torto alle sue doti personali, anzi: in un colpo solo “L’Amore non è bello” fa giustizia di tutti quei canzonettisti che negli anni hanno pronunciato invano il nome del povero Battisti giusto perché, proprio come quello dei Beatles, “fa fine e non impegna”. La grande fama dell’autore di “Emozioni” è finita troppo spesso a fare da paravento a certi interpretucoli, non abbastanza sfrontati per profanare i cantautori ma che spesso e volentieri hanno spacciato il loro essere vuoti con la sempreverde scusa della leggerezza. Per sfiorare Battisti non bastano “le bionde trecce” con un chitarra sulla spiaggia: ci vanno lavoro, sensibilità e creatività per raggiungere quello stesso nobile tipo di “leggerezza”. E questo, il nostro caro Dente sembra averlo imparato molto bene.