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Unica data italiana al Diagonàl di Forlì per uno dei tanti big new name sbucati fuori negli ultimi due anni dalla variegata scena newyorkese che ruota attorno alle etichette indipendenti di Brooklyn.
I Real Estate sono in quattro, il cantante con cui parleremo dell’ottimo esordio eponimo (recensione) è figurato nei Titus Andronicus, gli altri vengono sempre dal New Jersey. Incensati da Pitchfork con il loro stridente folk, malinconico e rievocativo dai rimandi psichedelico-cantautorali Sixties, arrivano in Europa in una Forlì piovosa. Accolti da un pubblico impredevibilmente nutrito, fanno la loro figura sul palco dando una carica più live ai toni lievi prevalenti su disco.
Dei quattro giovanissimi musicisti di Ridgewood (New Jersey), tre di loro, Martin Courtney, Etienne Duguay e Alex Bleeker si avventureranno tra le strade deserte della prima città da loro mai vista in Italia (fortune della vita!) per un after notturno che si concluderà nel Moquette Bar, locale semi-underground dove il sottoscritto è solito propinare improbabili set. Il tutto si trasformerà in una sfida etilico-musicale con selezioni altrettanto improbabili. Pillole di vita rock’n’roll.
Tornando in tema, di seguito la chiacchierata pomeridiana con il frontman Martin Courtney.
Benvenuti in Italia. Inizierei col parlare del perché abbiate scelto questo nome. Un nome molto strano (trad: bene immobile) se si accosta qualcosa come il diritto di proprietà alla vostra musica molto visionaria ed emotiva.
Non c’è un motivo particolare, né una situazione legata alla nostra esperienza che abbia a che fare coi beni immobili. Non significa niente per nessuno di noi quattro. Più semplicemente ci suonava figo. Suona bene la pronuncia. Nessun associazione con la musica.
Tra l’altro la parola “estate” vuol dire “summer” in italiano. Molto comica cosa perché “estate reale” si avvicinerebbe di più come significato all’atmosfera delle vostre sonorità.
Sul serio? Ahah. Non lo sapevo. Scritto allo stesso modo? Meraviglioso.
Siete per la prima volta in tour in Europa. Come sta andando?
Per ora molto bene, un’esperienza eccezionale. Siamo stati in UK, ad Amsterdam, in Belgio e a Copenhagen, quattro date in Germania, poi Praga. Non c’era mai capitato di avere degli show tutti per noi, senza fare da supporto. Il pubblico ha reagito veramente bene. Non ci aspettavamo un tale seguito dopo solo un album.
Peraltro siete stati chiamati al Primavera Sound di Barcellona, uno dei migliori festival del mondo. Una consacrazione.
Siamo veramente esaltati dalla cosa. Anche perché abbiamo saltato la Spagna in questa leg del tour proprio perché tra tre mesi andremo lì per il festival. Penso che suoneremo sul palco curato da Pitchfork.
Sperando di non fare la fine di Nathan Williams (n.b.:il frontman dei Wavves che per un cocktail di xanax, valium ed ecstacy ha dovuto interrompere l’esibizione nella scorsa edizione) e di arrivare fino in fondo alla performance…
Sì, ci spiace molto per quello che successo a Nathan. Lo conosciamo. Lui è uno che se la spassa. Abbiamo suonato un paio di volte in serate in cui c’erano i Wavves. Ama divertirsi, non penso sia stata assolutamente una debolezza o altro tipo di pressioni. Non siamo certo i tipi che ci scandalizziamo di determinate cose o ci permettiamo di giudicare. Semplicemente una serata finita male. Perdere così l’occasione di un tour europeo è stata una vera storia di merda per lui e il suo progetto.
Venite da diversi progetti. Ducktails, Titus Andronicus. Come vi siete ritrovati insieme?
Molta gente parla di me come ex-membro dei Titus Andronicus, in realtà non sono mai stato un membro effettivo della band. Siamo certamente stati molto amici, abbiamo collaborato spesso. Tutto qua. Per il resto, veniamo tutti da Ridgewood. Abitiamo ancora tutti lì ad eccezione del nostro batterista Etienne che vive a Brooklyn. Comunque ci conosciamo da quando avevamo quattordici, quindici anni. La band è nata di fatto quattro o cinque anni fa.
Credo sia molto difficile definire il vostro sound. Si pensa subito agli anni ’60, ma sono presenti degli elementi da revivalist del genere risalenti a due decenni dopo. Penso ai Feelies, ai Galaxie500. Ma anche alle ballate degli Yo La Tengo andando più avanti nel tempo.
Quali artisti vi hanno ispirato di più nella costruzione della vostra formula molto peculiare?
Beh, direi che proprio gli Yo La Tengo sono una delle mie band preferite. Tra l’altro vengono anche loro dal New Jersey, come saprai. Ovviamente poi roba più classica tipo Beatles, Neil Young. Direi di sì, amiamo tutti Neil Young.
L’anno scorso era al Primavera Sound. Doppio onore per voi.
Inimitabile, una leggenda.
Tornando al vostro disco, nei testi c’è un riferimento ricorrente alla suburbia, a partire dai titoli (“Suburban Dogs”, “Suburban Beverage”)…
Veniamo tutti dalla periferia, quindi sono storie in qualche modo ispirate alla nostra esperienza giovanile. A quello che abbiamo vissuto a Ridgewood e dintorni.
Parlando invece della vostra etichetta, la Woodsist di Jeremy Earl dei Woods, che ha lanciato in tutto il mondo nomi indipendenti quali Vivian Girls, per l’appunto Wavves, Blank Dogs, Ganglians, Crystal Stilts… com’è stato lavorarci? Siete soddisfatti?
Assolutamente. Un’etichetta indipendente che ci ha aiutato molto a uscire fuori dai confini americani. Il tipo che l’ha creata è uno come noi, un artista indipendente. Veramente un grande. Si spacca il culo per questi artisti. L’album è nato dal lavoro con questa etichetta. I brani non erano del tutto pronti quando siamo entrati in contatto con Jeremy. Ci siamo trovati veramente bene.
Restando in argomento, nel 2009 sono venuti fuori un sacco di album imperdibili in qualche modo riconducibili a Brooklyn. Sembra la nuova Mecca della scena indipendente mondiale. Un nome su tutti i Grizzly Bear a cui in qualche modo può essere accostato il vostro sound. Esiste veramente una scena di Brooklyn o è tutta una montatura di Pitchfork e derivati?
Fuori discussione che ci sia un mucchio di roba fighissima proveniente da Brooklyn. Ma non penso sia così recente. Quando noi abbiamo iniziato, faccio per dire, c’era già tantissima roba buona a Brooklyn anche se non si parlava di scena o cose del genere. C’è sempre stata una grande scena in quell’area.
Ultima domanda: suggeriscici qualche band sconosciuta su cui scommetteresti.
Punterei sui Big Troubles (myspace), un duo molto power che viene dalla nostra città.
Budweiser Sprite, do you feel alright? (dal testo di “Suburban Beverage”)
Definitely (ahah).