Share This Article
Fino a pochi anni fa lo shoegaze pareva una tendenza morta e sepolta. Per emergere dal sottobosco indipendente bastavano ritmiche in levare e chitarre lagnose al punto giusto. Da qualche tempo a questa parte, però, pare si possa emergere anche alzando i volumi fino alla saturazione del suono. In panorami pop, come in panorami electro. Si pensi a come M83 e Ulrich Schnauss hanno rivisitato un elettronica altrimenti priva di stimoli con distorsioni care alla vecchia scuola di My Bloody Valentine e compagnia. O alle tendenze più industriali di A Place To Bury Strangers e To Kill A Petty Bourgeoisie. Per elencare le formule più riuscite.
Gli Screen Vinyl Image, portati in tour per la prima volta proprio dal pazzoide tedesco sopra citato, rientrano benissimo in questa nuova scuola di pensiero. Direttamente da Washington DC si descrivono facendo riferimento a un ventaglio di influenze che vanno da Dario Argento agli Spacemen 3, passando per l’italo-disco e Phil Spector. Al di là di questi accostamenti suggestivi quanto poco efficaci, fin dalle prime battute è tutto chiaro. Dopo la sinistra introduzione con quei synth dal gusto gotico, la bruciante “Cathode Ray” sulla cui scia si infila la claustrofobica “Slipping Away” rende subito l’idea della proposta musicale del duo. Come se i Primal Scream di XTRMNTR (le cui sonorità riecheggiano più che mai in “Conscience Collider”, una sorta di suo remix techno) rendessero omaggio alle ossessioni pre-industriali dei Suicide. Alienati rigurgiti psichedelici in voce e dilatazioni, letteralmente sommersi da straripanti alluvioni shoegaze. “Lost In Repeat” è Screamadelica se Gillespie e soci avessero collaborato qualche tempo prima con Kevin Shields.
Ma non ci si soffermi troppo su questi richiami per così dire 90s perché i due allucinati dal Distretto di Columbia sono ancorati più che mai nel decennio precedente. Come se si divertissero a riempire di feedback e schitarrate noise tutto ciò che ha reso gli anni ’80 qualcosa di memorabile a dispetto delle concezioni più superficiali degli anni ’80 come decennio di oscurantismo musicale.
Ci sono i New Order che incontrano o meglio si scontrano coi Jesus & Mary Chain nel vortice annebbiante di “Fever”. Ci sono le perversioni gotiche che lambiscono i Sisters Of Mercy e i Depeche Mode di Black Celebration in “Until The End Of Time” e in “Asteroid”, il brano più depurato dai ricorrenti residui shoegaze. Ci sono i Cocteau Twins in chiave industrial nella sinfonia conclusiva di “Chaser”. Tutto in un’andatura molto costante e coerente che rende l’ascolto fluido. Quando poi si ricordano delle loro tendenze più torbidamente ballabili quasi sconfinano nell’EBM più truce e spietato. Utili se non altro ad allontanare il rischio di catalessi, “Death Defiance” e “What You Need” accelerano i ritmi rendendo comunque l’aria ugualmente irrespirabile. Mal di testa? Aprite la finestra e date uno sguardo fuori. Niente paura, gli anni ’80 sono davvero finiti.