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All’inizio del 2000, un po’ tutti avrebbero scommesso sui Von Bondies: erano giovani, brillanti, energici, glamour e dannatamente demodé. Come tanti loro compari di stagione americani, suonavano un rock ‘n roll ricercatamente immediato e retrò, con un’estetica a metà strada tra blues e pop. Sembravano incarnare perfettamente tutti i cliché richiesti dal caso: formazione a metà maschile e metà femminile, strumenti e gusto vintage, irruenza mediata da buone capacità melodiche, amore dichiarato per Stooges e generazione Nuggets e amicizie con gruppi già di culto come i White Stripes e Black Rebel Motorcycle Club. Poi il fattaccio: nel 2003 esce il singolo, il trascinante “C’mon C’mon”, che avrebbe dovuto consacrarli, ma l’avvenimento che realmente li fa conoscere al pubblico è di tutt’altra natura e finisce per screditare inesorabilmente la fragile reputazione underground della band. Fa il giro del mondo (ossia del web) la foto del cantante Jason Stollsteimer col viso tumefatto e vituperato, manco lo avessero torturato tutti gli affiliati del clan degli scissionisti di Scampia. Si viene a sapere che a spaccargli la faccia, per una questione di femmine o di crediti artistici, è stato quel simpaticone di Jack White. L’interesse scaturito dal gossip, insieme alla faccia di Jason, si sgonfia presto, trascinando anche il gruppo e la sua musica nel dimenticatoio. Sospettare che il tutto sia stato solo una controproducente mossa pubblicitaria sarebbe troppo triste e soprattutto noioso, quindi, con particolare gioia, torniamo, dopo quattro o cinque anni di oblio, a occuparci dei Von Bondies per questioni musicali.
“Love, Hate And Then There’s You” ripropone tutto ciò che di buono c’era stato nei due precedenti album dei Von Bondies. Il nuovo album è, con intelligente ingenuità, totalmente garage rock, veloce e ammiccante, mai troppo duro o troppo molle e aggraziatamente in equilibrio tra saturazione e cristallinità armonica. Naturalmente canzoni come “This is Our Perfect Crime”, “Dead to me” (che parte come “Rape Me”, ma dopo 30 secondi perde ogni velleità di cover), e “Changer” sono palesemente deficienti in originalità, scimmiottando Sonics, Stooges e Animals, ma certa musica non ha, né deve avere, pretese di peculiarità: l’audacia è tutta nelle chitarre sporche, tirate, grunge, in levare o minimali che imperano sostenendo melodie coinvolgenti e coretti molto punk rock, come non se ne sentivano da tempo. Jason Stollsteimer scrive buone canzoni e ha un timbro di voce deciso, che negli slanci meno ortodossi ricorda il giovane Morrissey della regina che è morta, e le ragazze (la bassista Leann Banks e la chitarrista Christy Hunt) contrappuntano i momenti topici con divertenti “oh-oh” e “uh-uh”, molto molto decadenti.
Il registro gioca per lo più sull’alternarsi tra momenti più gioiosi e anfetaminici, come la nervosa “Chancer”, la potente “I Don’t Wanna” i l’esplosiva “Earthquake”, e momenti dalle sfumature più oblique e malinconiche, come l’ottimo stop ‘n go di “Pale Bride” (probabilmente il pezzo migliore del disco), la marcetta “Only To Haunt you” e l’atrabiliare “Blame Game”.
Album dalle poche sorprese, ma dalle generose concessioni melodiche e dalla svagata genuinità, “Love, Hate And Then There’s You” non cambierà la storia del rock né renderà i Von Bondies famosi, traguardi che sinceramente non sembrano alla portata né nelle aspirazioni del gruppo. C’mon c’mon.