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Il lungo digiuno che durava, per l’Italia, dal 2001, è stato finalmente interrotto; anche se le due date ravvicinate del “Black Ice Tour” al Forum di Assago non saranno state certo sufficienti a saziare l’appetito dei fan di una band dal gradimento talmente trasversale e immutato nel tempo da indurre stupore. Lo si era già capito a ottobre scorso, quando nel giro di un’ora dalla messa in vendita i biglietti per il concerto del 19 si erano già belle che volatilizzati tutti. Stessa sorte per quelli del 21. Un sold out che conferma ancora una volta la band australiana in quello status di imprescindibile classico del rock, al di fuori di ogni limitazione o categorizzazione, che ormai nessuno potrebbe in buona fede negarle.
Il segreto del successo di questi coriacei britannici trapiantati nell’emisfero Sud potrebbe essere succintamente riassunto in due parole: blues&live. Gli AC/DC suonano metal appena più di quanto ne suonino i Rolling Stones: dopo iniziali tentazioni glam, pressoché inevitabili a metà anni settanta, hanno saltato a piedi pari le sirene dell’art rock per agganciarsi al più ruvido ed essenziale stile dei padri. Lo hanno irrobustito, amplificato, gonfiato, forzato a dismisura – fornendone una nuova e personalissima ed estrema interpretazione hard, senza fronzoli o l’ombra di una mezza ballata – ma mai abbandonato. È sempre lì, riconoscibilissimo.
Le apparizioni di spalla ai Rolling Stones nel 2003 hanno di fatto confermato l’esistenza di questo asse privilegiato fra due gruppi che sulle esibizioni dal vivo, come tutti i più grandi, hanno costruito gran parte della loro fama. Angus Young è probabilmente ancora il chitarrista più spettacolare in circolazione, un battitore libero inesauribile e generoso, a suo agio nei riff più essenziali come negli assolo robusti e mai leziosi o ruffiani, imprevedibile e originale, mai banale: una delle poche autentiche icone rock ancora in piena efficienza. Alle spalle il fratello Malcolm è il consueto metronomo che con perde un colpo. La scaletta si divide fra classici e pezzi del nuovo “Black Ice” uscito l’anno scorso e accolto positivamente dalla critica. La formula non è cambiata di una virgola e il tiro è sempre quello.
Aprono la serata gli irlandesi The Answer, due album all’attivo (il secondo fresco di stampa) e un’ispirazione che attraverso la lente degli AC/DC guarda chiaramente ai Led Zeppelin: formazione a quattro, un chitarrista, Paul Mahon, più tecnico della media e davvero ispirato; al fianco, in prima linea, il basso secco e corposo di Micky Waters, molto più di un semplice “continuo” alla Cliff Williams. Nella voce e nel look nostalgico il cantante Cormac Neeson svela tutto il DNA di un gruppo che nella consumata perizia esibita sul palco mostra di non demeritare gli elogi di molta stampa specializzata.
Belli e di sicuro effetto i video di animazione su maxischermo, paradossalmente sobria e persino elegante la scenografia con locomotiva. Una chicca la sigaretta politicamente scorretta di Phil Rudd, prontamente cassata dalle riprese. Decisamente di qualità l’audio della serata, anche se la voce era tenuta forse un po’ bassa. O invece era Brian Johnson che inizia a perdere un po’ di smalto? Forse no, ma comunque ci è parso che a fine concerto ne avesse meno che all’inizio.
SCALETTA
Rock’n’Roll Train
Hell Ain’t a Bad Place To Be
Back In Black
Big Jack
Dirty Deeds
Shot Down In Flames
Thunderstruck
Black Ice
The Jack
Hell’s Bells
Shoot To Thrill
War Machine
Anything Goes
You Shook Me All Night Long
TNT
Whole Lotta Rosie
Let There Be Rock
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Highway To Hell
For Those About To Rock (We Salute You)