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Negli Anni Ottanta era difficile ascoltare, fuori dai canali ufficiali (radio, tv, giornali specializzati…), qualcosa che non provenisse dagli States o dai paesi anglosassoni, non si aveva come adesso il caro Merola con i suoi Ikea-Pop o meglio la Rete con le sue infinità. Qualcosa però arrivava.
Gli Ekatarina Velika (EKV in breve) sono forse la più importante rock band della ex-Yugoslavia, un fulgido esempio della migliore new-wave che prendeva spunto dai Cure ai Cult rielaborandola con un’anima slava. Il loro quarto album “Ljubav” (1987) giunse a casa mia nello stesso anno a seguito di un viaggio di mio fratello nei Balcani e schiuse un mondo altro dove esistevano degli altri Litfiba con pari dignità ed ispirazione.
L’album si apre con l’arpeggio alla Billy Duffy di “Zemlja” un invocazione che a leggerla adesso sembra davvero un’esortazione a non chiudersi nelle proprie etnie. Pur essendo serbi (di Belgrado), gli EKV erano infatti benvoluti in tutta la ex Jugoslavia (furono notati e ben recensiti alla Biennale di Zagabria – nell’attuale Croazia – nel 1983).
“Questo è un paese per noi
Questo è un paese per tutti i nostri cittadini
Si tratta di una casa per noi
Questa è la casa per tutti i nostri bambini
Guardami, guarda su di me
Padri, i figli”
Questa è una versione live di “Zemlja” dell’89 davvero potente ed esaltante, davanti ad una folla enorme a Novi Sad:
“Pored Mene” attraversava invece gli spazi pop-dark con una perfetta calma lineare nella strofa e passaggi disarmonici nel ritornello, mentre la title-track “Ljubav”, se fosse stata cantata in italiano, avrebbe potuto benissimo far parte di “17 Re” dei Litfiba.
Per capire l’influenza dei Cure negli EKV forse non era necessaria la somiglianza di “7 dana” con “A Night Like This” (che è dell’85, dunque di due anni prima): in ogni caso ascoltatele, e capirete da soli.
Non sapevo invece esistesse una versione in inglese di “7 dana”, chiamata giustamente “7 days”: questo tentativo dimostra che gli EKV avevano possibilità internazionali. L’inglese li rende più vicini agli U2, ma – se devo essere sincero – li preferisco in lingua madre.
Due anni dopo riuscii ad avere anche l’album successivo, “Par Godina Za Nas” (1989): gli EKV ancora più scuri e cattivi, in linea coi foschi presagi della ex-Jugoslavia, per un disco forse troppo simile a “Ljubav” ma che conteneva quello che rimane ancor oggi – a mio parere – uno dei più bei pezzi di new-wave di tutti i tempi e di tutte le latitudini. La canzone che dava il titolo all’album, “Par Godina Za Nas”: un giro di basso tremendamente lucido ed un finale lisergico ed incalzante che sembrano scolpiti nella pietra dal tanto sono granitici.
“Par Godina Za Nas” vuol dire “ancora pochi anni per noi”, e fu così. Gli EKV ebbero il tempo per far uscire altri due dischi, "Dum Dum” (1991) e “Neko Nas Posmatra" (1993), poi il carismatico frontman Milan Mladenović morì nel 1994 per un cancro al pancreas, all’età di 36 anni.
Da allora gli Ekatarina smisero di esistere, ma il destino non finì di accanirsi contro gli altri due fondatori del gruppo: il bassista Bojan Pečar se ne andò a Londrà nel ‘98 per un attacco di cuore, mentre la bella tastierista Margita Stefanović morì nel 2002 in circostanze mai chiarite che qualcuno riconduce all’uso di droghe. Le guerre che sanguinarono i Balcani dal 1991 al 1995 non li decimarono, ci pensò più banalmente la vita comune.
Quando nel 2005 finii in Croazia e soprattutto in Bosnia mi vennero più volte in mente, e tutte le persone che incontrai mi parlarono degli EKV come di uno degli ultimi baluardi che riuscì a far sognare insieme quello che allora era un popolo solo.
(Paolo Bardelli)
Link sul web
Wikipedia
Myspace
www.ekatarinavelika.org
Le puntate precedenti
Back To The Future Vol. 5 – Gli Air sul pianeta Vega
Back To The Future Vol. 4 – “Stay” e gli angeli degli U2
Back To The Future Vol.3 – La lettera dei R.E.M. e di Thom Yorke
Back To The Future Vol. 2 – Massimo rispetto per i metallari (1987-89)
Back To The Future vol. 1 – L’estate di Napster