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Passare con disinvoltura dal dub al songwriting sembra la ragione di esistere di questo ultimo lavoro della coppia di Normberga formata da Florian Seyberth e Peter Heider.
“Grains”, album gravido di influenze, si trova, come spesso accade di questi tempi, a far galleggiare in acque contaminate dal dub un insieme di commistioni che possiamo considerare come alcune tra le più evolute atmosfere pop-elettroniche. Resiste ancora, in qualche modo, l’essenza della serie “Juke Joint”, trasposta adesso in un lavoro nuovo, personale, ragionato e vendibile (per quanto, oggi, possa considerarsi vendibile il prodotto album). Spazio quindi ad un dosato equilibrio tra canzoni (“Flickers”, “Sign”, “Same Sun”, “Grains”) e strumentali (“Kinder Ohne Strom”, “Tonschraube”, “Fuersatter”, “Big Nicks”); composizioni sempre in bilico tra dub, jazz ed elettronica per un risultato che si avvicina in molti casi al suono di formazioni come Trio Elétrico (altro progetto di Peter Heider) e Peace Orchestra.
Niente di ermetico o di eccessivamente integralista; semplicemente una miscela piacevole, che abbandona, per questa volta, la sola atmosfera (peraltro sempre ben riuscita) del cosiddetto “polleggio”, per spingersi verso quella che potrebbe essere la colonna sonora di un viaggio in auto.
Uno sguardo maturo sull’utilizzo dei canoni elettronici messi al servizio della forma canzone, in favore di quello che si rivela, ultimamente, un approccio piuttosto comune tra i produttori che provengono da quelle che erano, fino a qualche anno fa, delle “nicchie” elettroniche.
Un album, “Grains”, certamente di ottima fattura, ma che, al di là della grande capacità di scorrere liscio, non si distingue oggi certo per originalità, soprattutto in un contesto che vede (scusatemi se sono ripetitivo) una tendenza piuttosto marcata, volta a cercare, sempre e comunque, la soluzione che più si avvicina ad un generico gusto pop.