Share This Article
Tra i (pochi) vantaggi di appartenere ad una scena piccola com’è quella italiana c’è l’alta probabilità di scambi, incontri e condivisioni tra più musicisti di estrazioni disparate. Dando un’occhiata ai booklet delle produzioni nostrane o prestando attenzione al disordinato viavai di gruppi paralleli, collaborazioni speciali e progetti estemporanei è difficile non notare che i nomi dei “mestieranti” che circolano sono poi sempre quelli, più volte chiamati a dividersi lo stesso palco, lo stesso studio, la stessa ragione sociale.
Premesso ciò, cos’è che allora rende l’Angelo Mai un “collettivo” vero e proprio? Una casa, anzitutto: l’Istituto Angelo Mai di Roma, occupato dal Comitato Popolare Lotta per la Casa e per due anni ospitale rifugio per “musicisti, teatranti, famiglie senza casa, artisti di ogni dove o persone che di arte non si sono mai occupate” fino allo sgombero del 2006. Un tetto comune e una sala prove perenne per i musicisti del collettivo ma anche una specie di “porta aerei” per componenti di formazioni amiche, quali Ardecore, Avion Travel, Vinicio Capossela, Tetes de Bois, Remo Remotti, Teresa de Sio…
E’ nel periodo di quell’occupazione che vengono registrati (rigorosamente dal vivo) i pezzi del disco, ora riedito a tre anni di distanza dalla prima uscita, in una versione più estesa: si tratta perlopiù di brani scritti dal “di dentro” di quell’esperienza di occupazione e che per questo ne portano gli odori e lo spirito.
Anche se divisa in quattordici titoli, difficilmente la musica del Collettivo prende forme “chiuse”: risente anzi delle diverse aperture che permette un’esibizione dal vivo e dell’intrecciarsi dei diversi stili dei musicisti che la animano, in maggioranza suonatori di formazione jazzistica o cantautori. Se proprio si deve, è nella nuova Scuola autoriale Romana che si riconosce la matrice predominante del lavoro, con Pino Marino e Roberto Angelini (bentornato…) ad imprimere la propria firma su buona parte delle scritture.
Nessuna pathcankata né inni da rock barricadiero, quindi, sebbene a fare degli Angelo Mai un collettivo, oltre ad una casa, sia anche e soprattutto una causa: una concezione militante (e largamente condivisibile) sull’arte e sulla musica, che li spinge ad ispirarsi alla poesia di Pasolini e a ricercare una “parola che si fa corpo, che diventa musica, su un palcoscenico o in una strada non solo per denunciare, ma per cambiare”. Una ricerca parallela e complementare con la loro attività di suonatori occupanti, che gli Angelo Mai hanno deciso di perseguire coerentemente ma senza mai sentire la necessità di alzare il tono. Si può condurre una lotta sottovoce? John Lennon, coautore della “Across the Universe” che chiude il disco, risponderebbe di sì.