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A pensarci bene, è realmente grandioso che i Depeche Mode riempiano gli stadi. Lo si dà per scontato ormai, ma bisognerebbe sempre partire da lì: da una band che fa musica elettronica (che è un po’ come dire la fantascienza per i libri, insomma, un genere un po’ sfigato) da club, cioè da ambienti chiusi, piena zeppa di accordi minori e tratti cupi. Una descrizione da anti-stadio.
E invece anche questa volta a San Siro si è ripetuto il miracolo di Dave Gahan e soci. Perché? Ci viene da rispondere nella maniera più ovvia: perché hanno scritto molte canzoni indimenticabili. Quelle poi che hanno reso il concerto di Milano più speciale, un live a tratti trascinante e in alcuni momenti però più piatto.
Il mio cellulare segna le 21:00 quando Dave Gahan sale sul palco, accolto dalla luce ancora presente delle lunghe giornate che portano al solstizio. Da lì in poi dà l’ulteriore dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che è davvero un “gatto”, come viene soprannominato: a poco più di un mese dall’operazione piroetta e tiene la scena esattamente come l’ultima volta che li vidi, nel 2006, né più né meno. Ormai girano voci che lo danno morto clinicamente per 18 giorni nel 1996, operato dodici volte, con all’attivo un concerto in videoconferenza dal lettino d’ospedale… insomma ormai Dave Gahan è Dio.
L’inizio è un po’ in sordina per un trittico di “Sounds Of The Universe” (“In Chains”-“Wrong”-“Hole To Feed”) sottolineato nel primo pezzo da una bella immagine di un bambino nero e un vecchio dalla barba bianca che si scambiano le parti con il morphing. Ma è con il basso martellante di “Walking In My Shoes” che i Depeche ingranano davvero: una allegra famigliuola canta a squarciagola e spuntano lacrime di contentezza sul viso della figlia teenager, il riff suonato da Gore con lo slide sorprende anche me e mi trasporta istantaneamente a quel giugno del ’93, al giorno in cui si sposò mio fratello, che pochi giorni prima mi aveva regalato “Songs Of Faith And Devotion”. Trasmigrazione cronologica.
L’atmosfera si scalda, i volumi si alzano, “Question Of Time” è un carroarmato tra NIN e Cure e fa la parte da gigante rispetto alle successive nanette “Precious” (quand’è che smettono di farla che dal vivo che non ha mai funzionato?) e “Fly On The Windscreen”. Poi, per dare un po’ di fiato agli altri, Gore prende in mano il microfono e, da solo con unicamente il pianoforte in sottofondo, dimostra di che pasta (buona) sia fatto (“Jezebel”, “A Question Of Lust”). È una parte del concerto, che si conclude con “Come Back” e “Peace”, però un po’ scarica, in cui nell’aria si perde in parte quella comunione di spirito tra il gruppo e il pubblico.
Cosa che facilmente si ricrea invece con gli evergreen finali, basta guardare la scaletta sotto per capire quali sono. Io voto “I Feel You” tutta la vita, suonata così ti smuove qualcosa dentro. E pure la finale “Waiting For The Night”: cantata a cappella a due voci, Gahan e Gore insieme, ha del soprannaturale, di quei momenti alla “Fake Plastic Trees” che solo chi ha assistito ad un live dei Radiohead può conoscere.
I Depeche chiudono dunque il live con una parte finale travolgente che demolisce in un solo minuto la nostra introduzione sulla musica da anti-stadio. A San Siro suoneranno sempre i vari U2, Vasco, Pearl Jam, Bruce Springsteen, insomma quegli urlatori del rock chitarroso e altisonante che tanto infiammano le sterminate platee, ma anche i Depeche Mode ci stanno proprio bene.
Sempre che suonino i loro classici.
(Paolo Bardelli)
Scaletta:
- In Chains
- Wrong
- Hole To Feed
- Walking In My Shoes
- It’s No Good
- A Question Of Time
- Precious
- Fly On The Windscreen
- Jezebel
- A Question Of Lust
- Come Back
- Peace
- In Your Room
- I Feel You
- Policy Of Truth
- Enjoy The Silence
- Never Let Me Down Again
Encore#1
- Stripped
- Master And Servant
- Strangelove
Encore#2
- Personal Jesus
- Waiting For The Night (bare version)