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Generazioni a confronto. Così, forse, si può riassumere la seconda giornata dello sfortunatissimo Rock in Idro 2009, pensato per l’Idroscalo nelle menti degli organizzatori e terminato nel caldissimo Palasharp della periferia meneghina. Una decisione della Provincia assolutamente incomprensibile come ricordato polemicamente, via megafono, dagli stessi organizzatori del festival. Provincia che però ha poi concesso l’Idroscalo per il concerto di Katy Perry: forse che Faith No More e Limp Bizkit non rientrino nella playlist dell’Ipod del sindaco Moratti?
Possibile fare suonare gruppi così popolari dentro un palazzetto il 14 di giugno? Secondo me certe cose succedono solo in Italia quindi un plauso a tutti i partecipanti perché per vedersi tutti i concerti ci voleva veramente coraggio. E passione. Tanta passione.
Passando al cartellone, parto da Firenze per arrivare preciso con l’inizio del set dei Lacuna Coil, i quali, giocando in casa, sono gasatissimi e fanno proprio un bel concerto. Onestamente non sono proprio “il mio genere” ma sono bravi e hanno un loro pubblico (numerosissimo!) che li segue e li applaude: bravi, una band in sicura e continua ascesa (grazie anche al supporto di Mtv Italia che, tra un video di Tiziano Ferro e uno della Pausini si è accorta di loro… meglio tardi che mai…). Paradossale come il gruppo sia decisamente più famoso all’estero che in Italia (stiamo sempre parlando di un gruppo che ha suonato al celeberrimo Ozzfest e che in America vende vagonate di dischi!) Chiusura del set con la cover di “Enjoy the silence” che viene cantata da tutto il Palasharp: nel complesso fanno decisamente un figurone.
Venendo ai due nomi che hanno “mosso le masse” ovvero Limp Bizkit e Faith No More, le aspettative di chi scrive erano decisamente diverse. Ho visto entrambi i gruppi dal vivo circa una decina d’anni fa: i Faith No More erano all’Arena Parco Nord di Bologna e fecero un concerto alquanto scarso: sembrava più che altro che fossero lì a timbrare il cartellino. Niente “Epic”, niente “Diggin the grave”, niente “From out of nowhere”. Due mesi dopo si sciolsero.
I Limp Bizkit li vidi invece nel loro momento migliore, sempre all’Arena Parco Nord, attorno al 2000 nel periodo in cui fecero la colonna sonora di “Mission Impossible 2”. Fecero un gran concerto, divertente e suonato bene, e riuscirono a non sfigurare suonando dopo i mostri sacri del genere, gli inarrivabili Deftones.
Ma il tempo è carogna e i ricordi se li mangia. Era il 1999 quando i Bizkit pubblicavano “Significant other” lavoro a metà strada tra il potentissimo ma acerbo esordio “3dollar bill y’all” ed il seguente, ultra-pop, super-radio-friendly “Chocolate starfish”. Dieci anni sono passati e i Bizkit grazie alla naturale antipatia di Fred Durst, la fine della moda nu-metal (o crossovoer, o alternative metal, chiamatela un po’ come vi pare) e soprattutto l’allontanamento dell’eccentrico ma talentuoso chitarrista Wes Borland (senza il quale, il gruppo, non ha proprio ragion d’esistere) sono praticamente finiti.
Il gruppo si presenta sul palco addirittura in anticipo rispetto all’orario previsto e per un attimo sembra di rivivere i gloriosi anni ’90: Fred Durst è identico, arrogante, pacchiano e col classico cappello rosso all’indietro, Wes Borland è rientrato nel gruppo ed è in look total white, con un’enorme bocca rossa disegnata su un faccione nero a mo’ di Sambo. Dj Lethal (ex House of Pain) è ai piatti e promette scintille. Gli ingredienti per un’ora e mezzo di massacro ci sono tutti. Ma il gioco è vecchio e l’illusione dura poco: penalizzati da un volume scandalosamente basso (soprattutto Lethal e Durst) i Bizkit fanno uno show che non convince e che dura un’ora scarsa. Certo, mi rendo conto che per qualcuno non sentire le smargiassate da bulletto di periferia di Durst possa essere una gioia auditiva, ma i Bizkit giocano tutto sull’impatto dei suoni. Se togli loro il volume, è un po’ come se alla pasta togli il sugo: non sa di nulla. Anche la scaletta è facilmente prevedibile: singolone dopo singolone, le sorprese stanno a zero. Le più apprezzate dal pubblico sembrano essere l’iniziale “My generation” e la celeberrima “Rollin’” (con immancabile gesto “del volante”) mentre per chi scrive i pezzi migliori sono stati la cover di George Michael “Faith” (“the cheesiest song in the world” come la definisce lo stesso Durst), veramente ben eseguita e lo scontato finale con “Take a look around” che ha però il merito di creare un vero inferno, con un mosh pit di dimensioni dantesche. Nel mezzo anche “Break stuff”, “Nookie”, “My way”, “Re-arranged”, “Show me what you got” “Eat you alive” e l’orripilante “Behind blue eyes”, cover degli Who. Cosa pensi Borland di questo pezzo è facilmente intuibile: tutti i Bizkit se ne stanno nel backstage e il solo Durst presente sul palco canta su una base. Sì, una base registrata, come registrati sono molti degli scratch di Dj Lethal che vengono lanciati da un pad alla stessa maniera di Mr Hahn dei Linkin Park (il buon Lethal darà prova delle sua abilità di turntablist solo nella celeberrima “My generation”.. Dj Lethal, bring it on!!). Ok la scaletta potrebbe anche passare ma “1999” e “Just like this” dove sono? E soprattutto: del meraviglioso trittico d’apertura del primo disco (“Pollution”, “Stuck” e “Counterfeit”) niente di niente? Il prossimo disco sta per uscire e il ritorno di Borland alla chitarra è sicuramente una buona cosa, ma se le premesse sono queste, le aspettative restano comunque basse. Speriamo sia stata solo una serata no.
Aspettando i Faith No More ci sono i Sick Tamburo a suonare su un piccolo palco esterno al capannone principale: il nuovo progetto degli ex Prozac + non sembra niente male ma confesso che l’ho sentito da lontano mentre lottavo per una piadina scotta ed una birra annacquata quindi rimando ulteriori giudizi alla prossima prova dal vivo.
Il concerto dei Faith No More invece è stato talmente bello che posso solo iniziare dall’unica nota negativa di tutto il concerto: non hanno fatto “Diggin the grave”. Scusate se smollo un attimo il tono impersonale del giornalista e assumo quello del fan arrabbiato ma cazzo: cari Faith no more sono due volte che vi vedo dal vivo e sono due volte che non mi fate “Diggin the grave”. Ma che ce l’avete con me?
Detto questo, non è facile spiegare un live dei Faith No More a chi non l’ha mai visto. L’energia, l’allegria, la potenza, la tecnica che fuoriescono dal palco sono raramente riscontrabili in altre band del genere. I ragazzi, elegantissimi su una scenografia di tende rosse modello Broadway, sono in palla e lo dimostrano da subito. La scaletta forse non vale neanche la pena di esser raccontata, tanti sono i pezzi che hanno suonato. La cosa buffa è che a fine concerto non era difficile sentire la gente lamentarsi dell’assenza di questo o quel brano: segno che la qualità del loro materiale è talmente elevata che ognuno considera “classici” brani diversi. Andando così a braccio vengono comunque a mente “Epic”, “From out of nowhere”, “Gentle art of making enemies”, “We care a lot”, “Be aggressive”, “Easy”, “Stripsearch”, “I started a joke”. La chicca? “Evidence”, cantata in italiano per la gioia di un pubblico incredulo. Generazioni a confronto quindi. E’ innegabile come la musica dei Faith No More abbia influenzato la musica delle due band che hanno suonato prima di loro: la parte ritmica nel caso dei Lacuna Coil e bene o male tutto nel caso dei Limp (non a caso Fred durante lo show dei Bizkit indossava una maglia dei FNM..)
Passatemi la banalità, ma la classe non è acqua e i maestri, del genere, sono tornati in cattedra. Grazie ragazzi, siete stati meravigliosi. Adesso però, non fateci aspettare altri dieci anni…
foto Faith No More a Rock In Idro 2009, di Hop-Frog