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16 luglio 2009 – La giornata
A Livorno, a Livorno! Come novelli Tondelli lanciamo l’invocazione che fu di Karpi per immergerci nell’atmosfera festivaliera di Italia Wave, che era Arezzo ma pare Livorno da mille anni: la città labronica accoglie il Love Festival con una naturalezza e una sicurezza di sé da grande navigata, da padrona di casa un po’ matronale e un po’ mignotta. E invece è solo il secondo anno.
Non ci poteva essere un’accoglienza migliore: il sole tagliente, il mare scintillante, la Rotonda d’Ardenza – dove è situato lo Psycho Stage – sorniona tra sdraio e torsi nudi, varia umanità con i tatuaggi fichi al posto giusto e la voglia/non voglia di ascoltare il live. Insomma, il clima che ci deve essere ad Italia Wave, quello ideale.
Quasi ideale, dato che avremmo evitato molto volentieri di scontrarci subito, così a freddo, con le Luci della Centrale Elettrica, l’opzione Proiettili Buoni (che mentre arriviamo annunciano che quello appena finito dovrebbe essere il loro ultimo concerto) sarebbe stata molto più auspicabile. Invece tutto va subito in vacca, perché ce la manda Vasco Brondi che, un po’ più rabbioso del solito (per fortuna!) ma anche più alticcio del solito, offre una performance da taverna in Val Seriana, come tra vino e formaggi (scaduti). L’allestimento è con il violoncello di Daniela Savoldi (ex Caravane de Ville), il violino di Rodrigo D’Erasmo e altri ammennicoli di Enrico Gabrielli (ex Afterhours), e si rimpiange altamente il buon Canali. Gli archi stridono un po’ a caso, Vasco urla e almeno sembra che ci stia credendo un po’ di più in quello che dice. “Per Combattere l’Acne” è armonizzata bene, la cover per la celebrazione del quarantennale di Woodstook (tutti gli artisti della giornata dovranno interpretare un pezzo suonato in quel Festival ormai mitologico) è “Freedom” di Ritchie Havens con inserti da uno scritto di Susanna Ronconi, “Voghera. Massima Sicurezza. 1983” (“Dio se eravamo belle!”). L’audience dapprima partecipa poi sembra davvero come d’estate quando i camerieri ritirano i tavoli all’aperto e c’è ancora un avventore che non se ne vuole andare: il pubblico si raffredda (si annoia?) e solo un finale con Le Luci che scendono dal palco risolleva leggermente un live andato male: Vasco suona tra un capannello di ragazzi che si siedono tutt’attorno come ad un campeggio di boy-scout, con sincera e fervida ammirazione.
Anche Bugo è una certezza, ci ha divertito come sempre ma quando si fa praticamente la stessa scaletta dell’anno scorso (e ti credo, non è mica uscito nulla di nuovo di suo…) l’interesse non può che scemare. Comunque giocoso: Bugo ha alla tracolla una chitarra elettrica che pare un Prince di Novara e la suonacchia come un Jimi Hendrix che ha picchiato la testa contro un container. Impagabile. In “Sesto Senso” sale sul palco anche la Antolini che offre il suo inutile aiuto ad un canzone che, splendida su disco, non trova una collocazione con questa formazione allargata, mentre il rifacimento di “Fire” (di Hendrix, appunto) è sorprendente, con piglio electro e un basso alla “Gli Spari Sopra”.
Non spendiamo parole per Giuliano Palma & The Bluebeaters: passare dalla Notte Rosa in riviera ad Italia Wave non è da paraculi? Fastidiosi.
E’ l’ora di aprire bene le orecchie per il nuovo progetto dei Marlene Kuntz con Howie B (e Maroccolo), i Beautiful: non è usuale che una band italiana possa avere ambizioni di esportarsi all’estero e i Marlene sono tra i pochissimi che possono anelare a farlo. È il loro battesimo, la data zero. Impatto? Difficile. L’inizio (“White Rabbit” dei Jefferson Airplane) funziona bene poi le nuove composizioni, con Godano che canta in inglese, fanno uno strano effetto. Più che altro: Howie B incide troppo poco e i pezzi sono ancora poco definiti. Il liquido amniotico in cui ci si immerge è una commistione sonica classica alla MK con sprazzi psichedelici ma manca, forse, ancora la melodia forte. Sembrano insomma delle spore diventati funghetti. Un accenno all’impatto visivo di Howie B: mi ha ricordato un cassaintegrato quarantacinquenne che al Bar Sport ti frega la Gazzetta di Reggio.
Di altra pasta “salterina” è fatto invece – si sa – Caparezza, che comanda il pubblico a bacchetta con i suoi sketch un po’ adolescenziali ma pur sempre d’effetto che strappano immancabilmente un sorriso, la band è quadrata al quadrato e lo show è assicurato. Nessuna roba fantasmagorica, intendiamoci, non viene dalla Luna, ma chi c’è in Italia che coinvolge così con testi intelligentemente stuzzicanti, lievemente ironici e una pacca sonora simile?
Quando arrivano gli Afterhours inizia ad essere tardino e la stanchezza comincia a farci stare come le foglie sugli alberi nella nota stagione. Che dire? Bravi, as usual. La scaletta diventa praticamente un greatest hits della band di Agnelli (“Quello Che Non C’è”, “Ballata Per La Mia Piccola Iena”, “Non è per sempre”, “Bye Bye Bombay”) con in più una “My Generation” suonata con indubbio mestiere e una “Suite Judy Blue Eyes” di Crosby Stills & Nash molto fedele all’originale con delle doppie voci da far invidia ai Fleet Foxes. Inaspettata.
Aspettiamoci invece altri “botti” nelle successive giornate di Italia Wave, oggi è il giorno dei Placebo.