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Il secondo giorno di Italia Wave vissuto qui, dalla mattina alla sera, dà la possibilità di godere appieno di Livorno: girovagare un po’ a caso per la città, mangiarsi un gelato sul lungomare mentre un esercito di salutisti e/o pancettisti fa jogging sul lungomare, perdersi nel labirinto di strade strette e intricate della parte del Duomo nonostante, sigh, il navigatore. Soprattutto c’è tempo per leggersi Il Tirreno, che ci regala sempre grandi emozioni. L’anno scorso fu per l’epopea della “cagnina”. Nuovo anno, nuovo animale! A Livorno, non so se lo sapevate, ma ci sono i barracuda (!). Un tizio forse avvezzo al Diagnosi E Cura lo ha sentito mordergli un polpaccio, e il Tirreno ligio ha riportato fedelmente (virgolettando). Mavalà.
Anche lo Psycho Stage pomeridiano era pieno di pancettisti stravaccati che fanno un po’ innervosire lo splendido Samuel Katarro: visto che nessuno si sposta sotto il palco, ad un certo punto augura, in modo sarcastico, “buon bivacco”. Alberto Mariotti (questo il suo vero nome) si presenta stavolta in formazione prettamente a due chitarre elettriche, quasi avesse intrapreso quel percorso naturale che lo potrebbe far arrivare alla band completa, come fu per Jeff Buckley (a cui noi di Kalporz lo paragonammo tra il serio e l’auspicio quando era ancora uno sconosciuto, nella recensione di Italia Wave 2006) che dapprima si trovò un chitarrista con cui dialogare bene (Gary Lucas) e poi mise su il gruppo classico con basso e batteria. Affiatamento massimo, Samuel come al solito estroso e soprattutto istintivo, migliora sempre di più. Finale affidato a “Green River” dei Creedence, Katarro chiude il pezzo battendo con le mani sulla cassa armonica della chitarra acustica come si fa con un bongo: se questo non è sentire quello che si sta suonando!
Si avvicenda poi Dente, con il suo spettacolo misurato, pulito, rassicurante se non fosse per i suoi testi particolarmente ironici ma malinconici tra abbandoni e… abbandoni. Bravi i musicisti che lo seguono (erano praticamente i La Spina, tra le migliori realtà della provincia parmigiana), Dente ci è sembrato uno che sta studiando per qualcosa di più, forse il palco di Sanremo, la sua capacità di essere piuttosto universale e trasversale, di raccontare storie “in cui la gente si identifica”, come ci ha raccontato lui stesso nell’intervista che gli abbiamo fatto prima del concerto, lo porterà probabilmente in altri lidi.
“Non c’è due senza te” la più movimentata, con un buon inserto funky. Unico appunto: sarà che il suono della chitarra acustica è come la pizza, ad ognuno gli piace il suo, come dice un mio amico, ma è certo che il suono dell’acustica di Dente proviene diritto da un tombino.
Alle 18 ecco che arriva sul palco Beatrice Antolini, vestita come un evidenziatore Stabilo-Boss. Stavolta la cantautrice bolognese d’adozione si dimostra più a suo agio, meno contratta: impeccabile a suonare come un organista alla Messa lo è sempre stata, forse doveva lasciarsi solo più andare e qui a Livorno la briglia si è sciolta meglio. Molte parti strumentali, accenni reggae gustosi, insomma la Antolini dal vivo ha svoltato, vedremo su disco (devo ammettere però che continua ad essere consigliata solo per gli amanti del genere, verso la fine del concerto lo scontro “lungomare vs. cervellotiche suite gotiche” non aveva confronti).
(Paolo Bardelli)