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“We Are The Robots”. Siamo tutti esseri meccanici nel sabato di Italia Wave 2009. Arrivano i Kraftwerk e la musica si va ad intersecare con mille discorsi più o meno filosofici sull’evoluzione tecnologica e i riflessi che ha su di noi. Lo spettacolo musicale passa in secondo piano, e anche se chi è proprio cresciuto con i Kraftwerk assicura che è stato un tuffo al cuore, il live di Livorno dei quattro teutonici ci sollecita altri pensieri e ci fa riflettere sul loro immaginario raffigurato negli enormi video alle loro spalle. Il futuro dei Kraftwerk era più semplice, era l’interagire semplice tra uomo e macchina, linguaggio binario, fino ad una completa identificazione e sovrapposizione, un mondo perfettamente in ordine in cui la mentalità robotica avrebbe annullato o comunque attutito le variabilità emotive tipiche di noi sfigatelli in carne ed ossa. Il mondo attuale invece si palesa come molto più complicato, la tecnologia più che essere nostra interlocutrice unica è diventata l’interfaccia verso altre persone, fragili e umorali come noi, aggravando ulteriormente le cose. Non c’è più il futuro di una volta.
Questo non significa che i Kraftwerk non fossero “avanti”, semplicemente non erano il futuro tout court e, ci verrebbe da dire, per fortuna non lo sono stati: il loro mondo si reimpone dunque anche nel 2009 come nel 1974, nella stessa maniera ordinata, minimale, funzionale.
Il che è poi anche dal lato prettamente musicale: l’iniziale “The Man Machine”, una “Radioactivity” molto coinvolgente, “Computer Love”, “Trans-Europe Express” rivestite di suoni meno scarni ma pur sempre essenziali alla Kraftwerk ricreano il loro universo anche a Livorno perché il loro universo vivrà sempre, e senza di loro. Non a caso a metà concerto il tendone si chiude e si riapre con solo dei veri e propri robot a loro posto (“We’re charging our battery”): i Kraftwerk ci dicono che loro non servono. Ma, in fondo, chi è che serve?
Prima dei dusseldorfiani un djset interlocutorio, ma a tratti interessante, di Marco Passarani, e ancor prima gli Offlaga Disco Pax, promossi dal Wake Up Stage del 2005 allo Psycho nel 2008 e ora al Main. E questo è anche il problema, probabilmente: gli Offlaga non riescono a riempire lo stadio con il loro suono nonostante il trio di archi. Una siffatta dimensione intimorisce un po’ i racconti di Collini, anche se bisogna dire che la claque livornese non si smentisce sulla “Democrazia Cristiana al 6%” e l’applaude ampiamente.
Dopo i dusserdorfiani invece il laptop dj di Aphex Twin: esageratamente distruttivo, bpm da gabber, il rave che si aggirava un po’ spaesato trova finalmente il suo sballo. In effetti la fauna e la varia umanità presente era davvero strana per la classicità e il rigore dei Kraftwerk: rastamanni da caravan, punkabbestia senza bestia, ragazzetti flashati che durante i Kraftwerk dicono fra loro: “Ma è già Aphex Twin?” “Non credo, ma sono prodotti da Aphex Twin”… In realtà l’obiettivo vero di questi tizi era l’apocalisse del set dell’irlandese.
Ognuno ha i suoi limiti: io adoro la musica elettronica, mi piace ballare, godo la musica rumorosa, ma il djset di Aphex Twin era oltre i miei limiti. E, parlando un po’ in giro, oltre il limite di molti.
(Paolo Bardelli)