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E’ suono da strada e da cameretta; suono studiato, guarnito con piccoli inserti lo-fi. E’ il frutto di tanti ascolti differenti tra loro, di un approccio che rivela eclettismo nella composizione come nei gusti musicali. In più una bella montatura di occhiali da nerd e, sullo sfondo, Filadelfia.
“Cassette City” viene vissuto dallo stesso Raj Haldar come il lavoro capace di fargli lambire la maturità artistica. Negli intenti la volontà di lavorare sul suono hip hop più classico, di farlo vivere nella propria interpretazione, di contaminarlo con inserti indie e di integrarlo con elementi provenienti dal proprio variegato background musicale. Sono un esempio di trasversalità le tre parti di “Meridian Sound”, che spuntano intervallando liriche, battute tirate al massimo (l’ottimo singolo “Another Word From Paradise”, “The Songbird Athletic”, “In Soft Focus”) e campionamenti sospesi tra un Dj Shadow ed un Moby non troppo sfacciato (“Until The Sun Dies”).
Nella lista degli ospiti figurano i Camp Lo, Greg Saunier (Deerhoof), Ariel Pink; collaborazioni capaci di elevare il livello complessivo dell’album, togliendo a Raj il peso di dover sostenere da solo tutte le parti vocali.
“Cassette City”, dopo il debutto “Order Of Operations” (3D, 2006), ci presenta un giovane e la sua ricetta del suono hip hop; è un lavoro certamente ricco di buoni spunti, realizzato con una leggera vena rivolta alla sperimentazione, ma anche con la furbizia necessaria per poter provare a stare sul mercato.
Piacevole, non improvvisato, attuale.