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19 luglio 2009 – La giornata
Ed è domenica. Il sole spacca e prima di ributtarci in pista coi concerti sarebbe bello farsi anche un caciucco. Vabbé, la prossima volta che torniamo a Livorno, tanto ormai siamo amici dei ragazzi del bar del Picchi e si torna di sicuro, certe sagome tutte nervi o vecchi arzilli nei cui occhi sono riflesse un migliaio e più partite degli amaranto.
Allo Psycho ci dedichiamo solo a Tonino Carotone. Giusta scelta, l’uomo che a trent’anni dimostrava più anni di qualsiasi altro trentenne sulla faccia della terra, vestito con camicia bianca, corpetto nero e accessoriato con bastone con manico d’argento da vecchio nobile caduto in disgrazia, offre uno squarcio di spensieratezza matura tra cover di canzoni italiane (che gli piacciono sempre un sacco) come “Tu Vuò Fà l’Americano” o il bis “Sapore di Sale” e le sue miste patchanke eleganti. Imperdibile il suo aplomb quando salta una strofa unicamente perché si deve accendere la sigaretta: il gruppo lo asseconda come si tirano su le spalle, sorridendo, alla solita bizza del tuo migliore amico, e imperdibile anche la corista, con fiore d’ordinanza tra i capelli e voce baritonale, che sembra stata scritturata nel peggiore bar di Pamplona.
Prima che il folk in tutte le sue salse si appropri del Main Stage c’è tempo per l’esibizione dei veneti Wora Wora Washington, che ci perdiamo per i soliti spostamenti Rotonda D’Ardenza-Stadio: all’aperitivo rock però riusciamo a recuperare il loro cd “Techno Lovers” (su Shyrec): un interessantissimo electro-industrial senza complessi d’inferiorità estera, con qualche apertura shoegaze (“Daisy”). Una band già al top, solo da lanciare come si deve. Noi ve la consigliamo a spada tratta.
Poi, il folk. Dopo il sabato sintetico Italia Wave butta tutto “in campagna”, o meglio nelle contaminazioni etniche come quella reggae stavolta non esplorata dal “solito” gruppo giamaicano, bensì dai venezuelani Zion Tpl: si ascoltano bene, mettono di buon umore e preparano il campo al più complicato Kumar. Il cubano è un combat-rapper che hippoppa su basi di mambo e andamenti reggae. Il lato strano e interessante di Kumar è sentire in lui un immaginario urbano e violento nonostante la provenienza da una terra molto rurale e “pacifica” (pacificata?) come Cuba.
Si capisce che la serata è entrata nel vivo però solo con la Bandabardò: ammettiamolo, prima di assistere all’ennesimo concerto della Banda in molti possono aver pensato che li si è visti abbastanza. Invece quando li si scorge ballonzolare felici e contenti suonando con fedele complicità i loro classici e le canzoni dell’ultimo “Ottavio”, si è di nuovo trascinati dai loro salti e inni. Parrucche sul palco, tanta allegria, potrebbe essere la sagra della trippa oppure un concerto in quel bar di Pamplona, quello della corista, e non conterebbe poi molto. La Banda chiama sul palco anche Carotone (mitico il suo grido di guerra… “Sigareeeeeeette!”), suona buone versioni di “Lilù Si Sposa”, “Ubriaco canta Amore” (“È una notte senza lunaubriaco canta amorealla fortuna!”), della cover di De André “Il Giudice”, e scalda gli animi con “Manifesto” (ascoltandola però sorge sempre un dubbio… ma manifesta per cosa? Ha senso manifestare per il gusto di manifestare? Mi ricorda quando alle superiori si scioperava ma non si sapeva per cosa, ecco, mi sembra che qualcuno sia rimasto a quella fase. Boh, siamo gli unici a chiedercelo perciò rimaniamo con le nostre domande…).
È l’ora dell’esercito delle magliette degli Ska P, tantissime indosso a chi è accorso al Picchi: gli spagnoli sono un manna per i ragazzini e continuano l’atmosfera caliente con la voce simpatica di Pulpul e i travestimenti improbabili di poliziotti sul palco. Non possiamo ascoltare tutto il loro set, e ci incamminiamo verso casa, allorché ci arrivano notizie via sms dall’insostituibile Shiiiila, che abbiamo lasciato come nostro ultimo baluardo waviano, che c’è qualcuno degli Ska P che è rimasto in mutande. Forse non è un bello spettacolo, e forse non è nemmeno così elegante finire i nostri quattro report di Italia Wave 2009 con questa immagine, ma è da fare: siamo certi che all’ironia livornese questa chiusa garba proprio molto.