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29 maggio 2009
Hamilton:
Tante chitarre anche nel concerto di Jason Molina. Succede che in Spagna, i Magnolia Electric Co., abbiamo un seguito numeroso ed appassionato al punto da assistere sotto il sole delle 18 sul secondo palco principale. Per farvi capire, in Italia è già tanto vederli suonare in localini da massimo duecento persone. Qui ce ne saranno state almeno duemila. Molina è un grafomane con un canzoniere di primissima qualità cui attingere ma la scaletta si concentra sul recente “Josephine”. Più Gram Parsons che Neil Young, quindi. Forse anche Molina si rende conto che se Neil Young in persona è in cartellone è meglio non fare scherzi e comportarsi da persone serie e oneste. Niente cazzate. Niente trucchi da quattro soldi. Tanto la gente che canta le canzoni c’è e la band – come dice il buon Simone Dotto: “Ma non vedi che belli! Sono americani! Sono brutti, si vestono male e sono sbracati. Che je frega a loro? Altro che gli inglesi” – sa il fatto suo come ogni buona compagnia di redneck depressi della midlle america. Jason Molina è perso sulle strade blu degli Stati Uniti ed è una bellezza di concerto. E pensare che una volta il country era (solo) un genere di zoticoni reazionari.
Quando salgono sul palco gli Spiritualized il pensiero va al concerto di due anni fa. Acoustic mainlines. Lacrime e dolore. Uno dei più bei concerti cui si possa assistere. Baby, set my soul on fire. Questa volta si fa ancora più sul serio e J Pierce lo sa. Qualcuno deve avergli detto del concerto di Sonic Boom e allora su in crescendo. Concerto-juke box con tanto di spiritual in apertura (“Amazing Grace”) e il consueto medley “Ladies In Gentleman We’re Floatin In Space” che diventa “I Can’t Help Falling In Love” di Elvis. E se citi Elvis hai sempre ragione. A maggior ragione se brano dopo brano il concerto cresce di intensità e potenza. Le chitarra diventano davvero urticanti. E il coinvolgimento e così alto – da parte del pubblico, certo, J Pierce non dice niente, non si muove, è sempre come te lo aspetti – che quando arriva il medley finale e definitivo dove la conclusiva “Come Together”, dopo una coda noise di diversi minuti, si trasforma in “Take Me To The Other Side” nessuno è veramente sorpreso ma tutti sono estremamente felici. Non perché in due giorni hanno ascoltato tutto “The Perfect Prescription”, perché è la musica dell’anima (malata) che torna a farsi sentire dopo anni di pose e leccatine, roba che ti tocca nel profondo e ti fa capire perché ami la musica, ami i concerti, ami i festival. In fondo è tutto qui. Semplice.
Chiaro che dopo un concerto del genere tutto il resto sia un po’ “meno fantastico”. Eh sì che Jason Lytle si impegna. Il suo set è gradevole, le sue canzoni sono molto belle e il sound-Grandaddy ha un che di significativo. Però… Forse le orecchie sono ancora piene del feedback spirituale. Forse semplicemente sono necessari nei momenti di pausa psicologica per cui non puoi investire la stessa intensità emotiva dopo una botta del genere. Ti capita così di prendere in giro i Sunn o))) per il loro ridicolo show di drones e cappucci massonici. Evocano Satana tanto per mentre bisognerebbe crederci per davvero! Diavolo (ehm…)! Ma forse siamo noi indie cocker un po’ emancipati e un po’ neo-sensibili a non capire. Noi preferiamo il chitarrismo rampante e post-grunge di Throwing Muses. Kirstin Hersch ci sa fare. Suona la chitarre meglio di tanti zamarri maschilisti, urla meglio di tanto ciarpame riottt e le canzoni ci sono. Concerto nostalgico sorprendente. Tutt’altra pasta rispetto all’anno scorso, con la delusione Eric’s Trip. Ma non tutto il giunge invecchia uguale.
Belle premesse prima dello show definitivo di Jarvis Cocker. Forse le sue canzoni non sono più efficaci come quelle del Pulp (bella scoperta!) ma l’occhialuto più stiloso d’Inghilterra va visto per il suo essere assolutamente DIVO. Carisma a pacchi. Uno dei pochi in grado di potersi permettere di non fare nulla per cinque minuti e farsi osannare dal pubblico adorante. Il fico definitivo e chissene se non recupera il vecchio repertorio (e sì che su “Common People” o “Disco 2000” avrebbe provocato notevoli scosse telluriche).
Non c’è Disco 2000 ma per la Disco 1990 ci pensano i St. Etienne. Che ti aspetti da loro? Divertimento. Ibiza. Puro e semplice disimpegno. Del resto sono diventati famosi con una versione electro di Neil Young e se li prendi sul serio – dal punto di vista puramente rockettaro – forse è un problema tuo. Certo, dopo un po’ ti rompi e vai a vederti gli Shellac, appuntamento fisso del festival. Tre volte negli ultimi quattro anni. Chi più di Steve Albini? Concerto dei suoi, se ti piacciono li ami, se non ti fanno né caldo né freddo un po’ ti annoi. È anche tardi. Non è che staremo diventando troppo vecchi?
Piero:
Mentre sugli altri palchi gli eventi pre-notturni sono, a contare le presenze in platea, Bat For Lashes, con l’incredibile magnetismo di una stella ormai affermata quale Natasha Khan nella sua ipnotica tenuta zebrata spalleggiata da Charlotte Atherley degli Ash, e sul RockDeLux l’intensa liturgia pagana degli Spiritualized con Jason Pierce che sfida l’ex-socio Sonic Boom. Malgrado l’alienato disadattato venuto dallo spazio non si sia dichiarato soddisfatto del concerto, la successione di brani vecchi e nuovi della band con gli inevitabili ripescaggi della fase Spacemen 3 è da brividi.
Hamilton parla di sentirsi vecchi, per ovviare a ciò c’è sempre il palco di Pitchfork che ospita nel post-My Bloody Valentine l’autore dell’album più coraggioso e interessante del 2009, tale Dan Deacon, che dal vivo non delude le aspettative con il suo ensemble di tredici schizofrenici che suonano qualsiasi cosa trasformando la stramba location dello stage in un educato rave o se preferite in un devastante ma posato baccanale hipster guidato dalla creatività del paffuto compositore di Baltimora. Tra coreografie improvvisate con la collaborazione neanche tanto forzata di una platea letteralmente in visibilio e lui che suona al solito al di qua della transenna dando le spalle a tutti, l’inno “The Crystal Cat” fa tremare tutta la Catalogna.
E comunque ben prima di lui fin dalle sei di pomeriggio ce n’è veramente per tutti i gusti tra i nomi nuovi della scena a stelle e strisce lanciati più o meno direttamente dall’influente potente webzine. Si va dalle rievocazioni pomeridiane tra Jesus & Mary Chain, Teenage Fanclub e Joy Division dei Crystal Stilts, allo sbarrello spesso gratuito ma irresistibile delle terribili Vivian Girls, passando per l’originale psichedelia dalle venature black dei Crystal Antlers, all’agrodolce pop dai risvolti di shoegaze di The Pains Of Being Pure At Heart che purtroppo ci si perde del tutto per via dell’Evento, così come si riesce ad ascoltare di sfuggita la spietata isteria post-punk di The Mae Shi di ritorno dall’Auditorium.
Sì, perché all’Auditorium è previsto il bis dei My Bloody Valentine, nella semi-penombra della futuribile struttura che fa da contrasto agli spazi ariosi del forum trasfiguandosi nell’ora e mezzo di spettacolo in uno shuttle lanciato a velocità supersonica verso il nulla. La scaletta sarà democraticamente la stessa del giorno prima, anche perché solo duemila fortunati hanno potuto accaparrarsi il biglietto nella corsa contro il tempo verso le macchinette automatiche di birre, drink e biglietti. Più una serie di infiltrati illustri tra i quali tre quinti dei Sonic Youth (Lee Ranaldo, Steve Shelley e la new-entry Mark Ibold dei Pavement), il presenzialista Sonic Boom che a differenza dei sonici rinuncia ai tappi caldamente consigliati all’entrata e al posto a sedere, e chissà chi altro. Per ritornare all’interno del parco, alla fine della nuova estenuante esibizione dei quattro, questa volta bisogna combattere con dei postumi ancora più duri da smaltire una volta riconquistata l’aria aperta. Ma per l’Evento, questo e altro.
Ci sarebbe Jarvis Cocker con le sue impagabili introduzioni ai brani che spesso risultano degne di nota più dei brani stessi, i Bloc Party nelle vesti di nome mainstream dell’evento e ci sarebbe soprattutto l’inimitabile wave dai rimandi funky e soul degli A Certain Ratio per un’emozionante tuffo nel passato, negli anni sentdella Manchester della Factory, dei party lunghi ventiquattro ore e delle droghe sintetiche dell’Hacienda. L’ideale buona notte con le orecchie continuano a fischiare in un vortice di echi e riverberi che ancora aleggiano nella mente e nei timpani.
P.S. L’incontro con un mite e silenzioso Kevin Shields mi ripaga abbondantemente delle sviste del giorno prima.
JARVIS COCKER
Pilchard
Angela
Further Complications
Fat Children
Slush
Big Julie
Leftovers
Dont Let Him Waste Your Time
I Never Said I Was Deep
Home Wrecker
Fuckin’ Song
Black Magic
Discosong
THROWING MUSES
Shark
Start
Shimmer
Hazing
Speed and Sleep
Devil’s Roof
Say Goodbye
Tar Kissers
Limbo
Bright Yellow Gun
Vicky’s Box
Pearl
Bea
Mania
SAINT ETIENNE
Heart Failed
Nothing Can Stop Us Now
A Good Thing
Only Love Can Break Your Heart
Method of Modern Love
Spring
Burnt Out Car
Who Do You Think You Are
Girl VII
Like a Motorway
Pale Movie
Sylvie
He’s on the Phone
SPIRITUALIZED
Amazing Grace / You Lie You Cheat
Shine A Light
Cheapster
Soul On Fire
Walkin With Jesus
I Think I’m In Love
Ladies & Gentlemen…
Lay Back In The Sun
Take Your Time
Come Together
Take Me To The Other Side
A CERTAIN RATIO
Do the Du
Mickey Way
Wild Party
Flight
Mind Made Up
Forced Laugh
I Feel Light
Wonder Y
Wanna Be
Shack Up
LSW
Si Firmi O Grido