FM4 Frequency Festival 2009 (St. Pölten, Austria) (22 agosto 2009)
Piero Merola
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22 AGOSTO
Non sarebbe un festival senza il proverbiale acquazzone, il fango, gli stivali e gli orribili poncho. Così inevitabilmente l’ultima giornata è quella della pioggia. Insistente e permanente. In realtà sarebbe anche la giornata meno interessante delle tre. Provano a ravvivarla, nel fuggi-fuggi generale i Port O’Brien, collettivo californiano innamorato dell’Alaska e di Port O’Brien dove il leader Van Pierszalowski ha sempre trascorso l’estate e partorito i suoi bozzetti folk-rock essenziali e intensi. Di tutt’altra natura quelli che verranno dopo in ulteriore rappresentanza del nostro Ikea-Pop. Tra i primi esponenti del revival new-wave che avrebbe invaso il Regno Uniti, The Sounds sono i classici alchimisti di canzoncine ben arrangiate e incredibilmente paraculo nella loro facile presa. Il resto lo fa una delle icone-lesbo dell’indie-pop svedese, Maja Ivarsson che incanta la platea maschile per motivi extra-artistici, con una prorompente versione del classico “Tony The Beat” a far girare subito tutto per il verso giusto. Il diluvio si prende una pausa anche agli organizzatissimi indigeni sembra importare poco. La birra sponsor dell’evento, l’Ottakringer scalda i cuori fino al drammatico esaurimento delle scorte in sala stampa. Pausa effimera perché insieme al’abituale rock’n’roll da fascia pomeridiana, torna nuovamente giù l’impossibile. Il nevrotico trio garage-punk inglese dei The Subways ce la mette tutta per vincere sulle calamità. E nonostante su disco risulti difficile trovare interessante qualcosa oltre ai classici due-tre hit da indie-band britannica, dal vivo sono un fiume in piena. Il posseduto Billy Lunn sfida la febbre suina a petto nudo e tiene ottimamente il palco da “Kalifornia” passando per le immancabili “Alright” e “Girls & Boys” fino al delirio (d’onnipotenza) di “Rock & Roll Queen” che manda in visibilio la platea.
Has the world changed or have I changed?
PRODIGY World’sOn Fire (invaders) Breathe (fat) Omen (invaders) Their Law Poison (music for the jilted generation) Warrior’s Dance (invaders) Firestarter (fat) Run With The Wolves Voodoo People (music) Invaders Must Die (invaders) Smack My Bitch Up (fat) Take Me To The Hospital (invaders) Out Of Space (experience) Stand Up (invaders)
EDITORS Bricks And Mortar The Racing Rats An End Has A Start Eat Raw Meat = Blood Drool Munich Bones The Big Exit Smokers Outside The Hospital Door Papillon
CRYSTAL CASTLES Exoskeleton (Atlantis To Interzone) Baptism Courtship Dating Reckless Crimewave Air War Black Panther Alice Practice Yes No Intimate
Se potessi ripercorrere in un attimo, nuotando controcorrente, le rapide di questo fiume oramai giunto al suo estuario, nella estrema fissità di questo mio prossimo viaggio nella noia orizzontale, sceglierei gli anni in cui la volta celeste non era altro che un enorme lenzuolo fatto a cielo e la luna una palla polverosa gettata nel vuoto e catturata con le unghie dall’egoismo del pianeta Terra. E noi, bimbi, cadevamo con essa per sempre, aggrappati in un infinto sprofondo gli uni agli altri, grazie a un gomitolo di lana nera. I grandi dimenticarono in fretta di avere un mondo con certe stelle enormi, sopra il capo, da osservare, mentre noi sacrificavamo la nostra noia migliore per costruire ponti sospesi nello spazio che ci allacciassero a un’agognata luna. La dipingemmo butterata e funesta, con maremoti sulla superficie di un ponto che non era mai tranquillo, ma tutta una schiuma fremente di gorghi e mostri marini. Nuovi esseri di ordinaria malinconia calpestavano un tappeto soffice come zucchero filato sparso su una teglia, in cui si radicavano piante cresciute dolci come torroni. Altre volte immaginammo un balzo da gigante come in mongolfiera, le tante mongolfiere tipiche di una domenica d’estate, un balzo che ci consentisse di fuggire all’avarizia terrestre e alle sue costrizioni. In anni in cui razzi enormi arrugginivano in volo, pensammo a uno sgangherato proiettile cavo sparato negli occhi della luna come nei film dei Meliès, in cui potessimo accovacciarci per il viaggio, assieme ai nostri migliori amici. Ma poi venne il tempo di un leggero disincanto, e, anche sognando a occhi aperti, non potevamo far altro che immaginarci tute e scafandri e missili scagliati a violentare qualche nuovo cielo. E poi, al ritorno, schivare incredibili uragani e tempeste, per posarci placidamente in un mare che ci accogliesse come un telo.
Eravamo certo molto giovani e molto felici e pensavamo, con rabbia, di non dover invecchiare mai. (Matteo Marconi)Le puntate precedentiBack To The Future Vol. 9 - Stuart Adamson morì nel 2001 e nessuno ne parla piùBack To The Future Vol. 8 - I Vines e il Verona dell'84-'85Back To The Future Vol. 7 – “I figli degli operai, i figli dei bottegai!” Back To The Future Vol. 6 - Ekatarina Velika (EKV) Back To The Future Vol. 5 - Gli Air sul pianeta VegaBack To The Future Vol. 4 – “Stay” e gli angeli degli U2 Back To The Future Vol.3 - La lettera dei R.E.M. e di Thom YorkeBack To The Future Vol. 2 – Massimo rispetto per i metallari (1987-89)Back To The Future vol. 1 – L’estate di Napster 14 settembre 2010
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