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Malinconico è il lavoro del recensore, soprattutto di fronte a dischi come questo. L’album in questione è “Haih or Amortecedor” dei semi leggendari Os Mutantes e la malinconia, invece, riguarda l’inadeguatezza di colui che nell’ascolto non sa spogliarsi di certe sovrastrutture intellettualistiche e sentimentali e godersi la musica per quella che è. Ma veniamo a noi. Gli Os Mutantes sono in giro da più di quarant’anni, vengono dal Brasile e sono stati una band fondamentale, creativa e importante, uno dei migliori gruppi mai comparsi sulla faccia di questo triste, tristissimo pianeta. Su questo non si accettano critiche né contrastanti punti di vista.
La loro è una grandezza ambigua, di quelle che si tengono nascoste (o si nascondono) come un segreto, per conservare e proteggere la troppa bellezza. Il loro fascino è timido, difficile, avido di se stesso e autoreferenziale, ma sarebbe sbagliato pensare a roba cervellotica e snob. È gente affascinante e brillante: degli scoppiati unici; avanguardia musicale giocosa (ma non goliardica), sperimentale (ma non noiosa), pop (ma non sputtanata) e postmoderna (ma non paracula). Questa che state visitando, però, non è una webzine di mitologia: qui si parla di dischi, quindi, tralasciando tutto quello che ci sarebbe da dire su tropicalismo, psichedelia e sul loro cortocircuito, passiamo al lavoro in questione. Del gruppo originale rimangono il chitarrista Sergio Dias Baptista e il batterista Dihno Leme. Non c’è la divina Rita Lee e manco Arnaldo Baptipsta e c’è da premettere che dal 1978 (data del loro scioglimento) sono passati parecchi anni. Alle parti cantate femminili ci pensa ottimamente Bia Mendes, ma paragoni con la fantastica Rita della a divina comedia sono proprio fuori luogo. Il disco parte subito politico e parodistico, con l’intro proclama “Hymns Of The World”, che fa molto concept anni ’60. Poi arriva la prima stoccata pop con la divertente “Querida Querida”: nulla di miracoloso, ma da un gruppo di sessantenni questo tipo di entusiasta freschezza mista a schizofrenica genialità pop kitsch (su cui solo Queen e altri pochi gruppi hanno saputo puntare esteticamente ed economicamente) giunge inaspettata, anche se poi si chiamano Os Mutantes.
L’album in questione, si capisce ben presto o lo si sapeva già, non può avere quei picchi di originalità e incanto che il gruppo raggiunse alla fine degli anni ’60, non avrebbe senso, eppure esce fuori un pop chitarristico tinteggiato verde e oro brasiliano che è meglio di tanta altra pretestuosa ricerca musicale che si sente in giro. La loro contaminazione è reale, mai strumentale. “Teclar”, per esempio, all’inizio pare un’idea rubata agli Who di Tommy, poi vira improvvisamente su scale orientaleggianti per poi trasformarsi in una delicata bossanova. Roba da perderci il fiato. Ma l’ispirazione non è sempre a questi livelli e il gruppo gioca di mestiere due volte su tre, introducendo scherzi da parco giochi (“2000 E Agarrum”) declinati in tono samba, malinconiche ballate contrappuntate da arrangiamenti sontuosi e accenti latini (“Baghdad Blues”), esplosioni di ritmi e vibrazioni sud americane piene di energia e ironia (“O Careca”) e gioiellini pop da fare invidia a tutti i Damon Albarn in delirio esotico del mondo (“Anagrama”).
La politica è più che mai presente tra le liriche del gruppo, così la violentissima satira (stilistica e argomentativa) di “Samba Do Fidel”, col cantato in spagnolo, è un divertentissimo Je accuse molto post-moderno e sottile, rivolto al Brasile e al Sud America, da far rimbalzare nei peggiori bar di Sao Paulo, e con un assoletto di chitarra niente male che prende per il culo Carlos Santana. Altro pezzo molto particolare è l’esperimento industrial-spirituale di “Gopala Krishna Om”, piacevole e intrigante. Per il resto si propongono sintesi dei cliché che chi compra un disco degli Os Mutantes avrebbe voluto ascoltare: dolci arpeggi in bilico tra tradizione brasiliana e rock anglosassone, strumenti esotici, derive progressive mediate da ritmiche brasiliane e sinistre interferenze diaboliche. Perché tempo fa questi Os Mutantes invocarono Lucifero… e come lo invocarono loro nessuno l’ha mai invocato. Discreto.
P.s. il loro nome, cari intellettualucci da quattro euro e quaranta centesimi, si pronuncia uns mutat-glis, se proprio volete fare i tipi che declamate i vostri gruppi preferiti con perfetta fonetica e non us mutantis. 🙂