Creamfields 2009 (Daresbury Estate, Warrington) (29-30 agosto 2009)
Daniele Boselli
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La cultura britannica in fatto di musica dal vivo regala sempre certezze. A maggior ragione quando, nello stesso fine settimana, il Carling Weekend si regala il solito, doppio, sold out. Qui cambia la forma ma non la sostanza. Creamfields è il dance festival organizzato tutti gli anni (prima edizione datata 1998) dal marchio Cream, organizzazione ormai storica – giunta alle diciassette candeline – di base a Liverpool famosa per le sue serate e la consolidata residenza estiva all’Amnesia di Ibiza. L’evento di quest’anno si celebra come consuetudine nei verdi campi di Daresbury, una quarantina di minuti dalla città sulle rive del Mersey, durante il weekend di bank holiday che chiude l’estate. Sperimentare nuovi appuntamenti è un obbligo e il succoso cast di dj internazionali (praticamente tutto il meglio della stagione ibizenca trasferito qui per la due giorni!) quest’anno ha fatto il resto: tutto perfetto, se non che un mio amico si è beccato la polmonite a tre giorni dalla partenza e mi tocca quindi la trasferta in solitaria. Si sbarca lo stesso nella città dei Beatles dove più che estate sembra di stare in autunno inoltrato ma non c’è male, visto il caldo insopportabile che ha colpito le nostre latitudini in questa torrida stagione.
Sabato 29 Agosto
Dopo un’imperiale dormita in centro città è subito tempo di caricare lo zaino in spalla e trasferirsi in campagna, spostamento garantito dal sempre efficiente servizio di autobus messo in piedi per i festival albionici. L’atmosfera è da subito vibrante quando, a qualche chilometro dall’uscita per Halton, una coda biblica di auto e furgoncini si para davanti agli occhi: il sold out è già visibile e c’è da scommettere che se ci fossero stati diffusori ai lati della strada la gente avrebbe messo in piedi un party da annali alle undici del mattino. In autostrada. Rave on!
Il pomeriggio si apre nella Cream arena con il kick-off ad opera di Gareth Wyn, rampante inglese molto apprezzato in veste di remixer. Rispetto alle sue produzioni, più marcatamente progressive, il set ascoltato per larghi tratti serve a riscaldare i presenti – circa trecento persone sotto l’enorme tendone blu – e caricarli in attesa dei fuochi d’artificio previsti per la serata. Il divertimento comunque non manca, le sonorità sono più da spiaggia che da club selvaggio ma il pubblico accorso è già nel mood per una giornata che si preannuncia da sballo e le sonorità melodiche accompagnate da una cassa raramente fuori dalle righe contribuisce a imprimere la giusta direzione alle cose. Gli inglesi non perdono tempo con gli alcolici e le bottiglie di plastica in mano sono la regola, così come i cibi spazzatura presenti all’interno del recinto. Me la cavo con un chicken burger che sembra veramente la cosa più sana che si possa trovare in giro e dopo la sosta mi butto nel più piccolo tendone Chibuku per assistere al set dei nostrani Crookers.
Nemmeno il tempo di avvicinarmi che si scorgono in lontananza code impressionanti ad ogni ingresso della maxi tenda. Non è ancora finito il set di James Zabiela che la security non lascia tassativamente entrare neanche a grappoli perché, a detta loro, la capienza è già ridottissima. Nonostante la staticità delle varie file non mi perdo d’animo e gironzolo tra gli accessi in attesa di movimento. Prontezza e una notevole dose di culo mi assistono quando un gruppetto di persone solleva una barriera e si crea l’ingresso sotto gli occhi sorpresi degli stewards, non altrettanto rapidi nel rispondere all’azione. Fortunatamente sono tra i fortunati che riescono a entrare, riuscendo anche a spingermi in mezzo per scoprire mio malgrado che di spazio ce n’è ancora a volontà! Wtf?? Evidentemente nessuno della sicurezza era abbastanza convinto dall’effettuare un rapido sopralluogo per accertarsi che le cose fossero effettivamente come sostenevano… Arriva il momento del biondo dal capello lungo e, neanche il tempo di suonare un disco intero, il francese ferma tutto e l’addetto al palco invita i presenti a uscire per motivi di sicurezza e poter garantire la ripresa dello show quanto prima. Immancabili segni di disappunto (fischi e bottiglie), dovuti soprattutto al grottesco di non sapere nemmeno la motivazione, si protraggono per una decina di minuti. Torna il barbuto tecnico per chiedere nuovamente a tutti di raggiungere le uscite e, nonostante tanti non ne vogliano proprio sapere, qualcuno decide che forse tutto questo non ne vale la pena e cerca riparo presso altri palchi (uno su tutti, dove avrei presenziato volentieri, quello a nome Swedish House Mafia in cui il trio è purtroppo in contemporanea tutta la sera coi pezzi grossi scelti da me). Le luci sono sempre accese e il tempo inizia seriamente a passare. Il tendone non si è svuotato e la pazienza inizia a scemare.. Torna sul palco il vecchio, stavolta chiedendo ai presenti di segnalare eventuali casualties nelle vicinanze di ciascuno (la voce, non confermata, sarà poi di un’overdose) per facilitare i soccorsi.. Lentamente le cose tornano alla normalità e sembra che finalmente si possa riprendere, con quasi un’ora di ritardo dall’inizio fissato originariamente. Tutto quello che segue è stato semplicemente il punto più alto del festival e non arrendersi alle richieste della polizia ha pagato come non mai.
Domenica 30 Agosto
Causa coprifuoco previsto per le undici di sera, il secondo e ultimo giorno di festival inizia a mezzogiorno con un cielo grigio e piuttosto minaccioso: gli sparuti spruzzi di pioggia del sabato saranno purtroppo solo un felice ricordo. Ancora una volta mi butto subito nel mega palco Cream per scaldare le gambe a ritmo di trance suonata dai primi due ospiti, Rob H (set tutto sommato tranquillo che si fa apprezzare notevolmente) e Judge Jules (che alza invece il coefficiente di zarraggine). La line up odierna qui nel tendone ricalca alla perfezione un qualsiasi giovedì all’Amnesia e non c’è da stupirsi di come, a differenza del giorno precedente, la partecipazione di pubblico si mantenga sempre alta per tutto il pomeriggio. Il tempo di un altro pranzo rapido – ma al riparo dall’untume imperante nei carretti di cibarie – e mi sposto nel palco Subliminal Sessions per il dj set di Laidback Luke, nome parecchio in voga di cui non è raro trovare remix per gruppi nel panorama indie. Il raduno di persone è decisamente importante anche se la qualità del suonato non sembra giustificare un hype così grande, così saluto e me ne torno alla Cream per un’ottima mezz’ora di John O’ Callaghan. Manco a dirlo, il nostro è uno che in fatto di trance sa sicuramente il fatto suo e divide il suo set tra potenti cavalcate progressive e squarci melodici che, uniti ai sempre notevoli laser e all’entusiasmo dei presenti, offrono diversi momenti di grande coinvolgimento. Vista la massiccia dose che avrei accumulato a fine giornata me ne torno al vicino Subliminal per godermi un’ora del buon Timo Maas. Ma prima m’è d’uopo aprire una parentesi sul capitolo droghe.
Premessa: in un dance festival è matematico trovarne a fiumi e per quanto mi riguarda è lecito assumere qualsiasi cosa si voglia nel sempre vigile rispetto degli altri. Ora, nella coda per entrare mi trovo affianco un uomo che ha tutta l’aria di non essere qui per la musica, quanto per coltivare con profitto il suo business. Due ragazze più giovani di me comprano due paste per venti sterline e mi chiedo in che stato arriveranno a fine serata… Ritengo di aver visto, nella mia ormai non più breve esperienza festivaliera europea, abbastanza facce in preda allo sconvolgimento più totale e mi chiedo se valga la pena ridursi così. Quando sei talmente fuori da non reggerti in piedi e non capire esattamente cosa sta succedendo affianco a te, forse non è proprio il massimo della vita. Dopo tutto sono sempre soldi spesi e resto convinto che ci si possa divertire anche alzando semplicemente il proprio tasso alcolico. Lungi da me fare la morale ma forse bisognerebbe davvero mettersi in testa che quando sovente si legge ‘le droghe non sono più quelle di una volta’ un motivo ci sarà. A chi non piacerebbe aver vissuto le summer of love di fine anni ’80, con l’E a unire per davvero i clubbers di allora… ma se siamo nel 2009 e la fama delle chimiche ha perso da tempo la battaglia, ecco.
Neanche il tempo di spostarsi verso il Main Stage che scopro, con grande disappunto, come gli orari siano stati cambiati a mia insaputa e il live dei 2 Many Djs sia già in atto. Fuck. Da valloni a fiamminghi quindi, per una mezz’ora scarsa del solito divertimento che i fratelli sono soliti regalare alle loro platee. Un calderone in cui buttano veramente di tutto, dai Prodigy ai Queen passando per New Order e Max Romeo, e i mash up che han fatto scuola non steccano nonostante l’atmosfera risulti un po’ smorzata dalla luce (vabè, quel che è) del giorno. A questo punto però inizio ad essere seriamente bagnato e saluto il palco principale (toccherà a Dizzee Rascal e Basement Jaxx chiudere il festival) e me ne torno in pianta stabile alla Cream per il finale di serata. Si inizia col set già in corso di Eddie Halliwell: fuochi d’artificio per chi se l’è vissuto dall’inizio, meno per chi come me è arrivato combattendo innanzitutto coi chili addosso dovuti all’accumulo di pioggia. Meglio, nonostante la quantità di impasticcati descritti poco sopra, le due ore del già menzionato Ferry Corsten: il producer dei Paesi Bassi pompa veramente come un disperato e mantiene il suo sound ben attaccato agli stilemi richiesti, pescando dal recente repertorio personale la hit “Made of Love”. Visuals ipnotici e cassa stile punching-ball assestano duri colpi all’ormai provata resistenza fisica, scalfita maggiormente dall’impresa di camminare nel pantano fuori (l’erba è ormai un lontano ricordo) senza immerdarsi nel fango. Poco male, il festival è ormai agli sgoccioli e ciò che conta è arrivare con ancora qualche energia al set di Paul van Dyk. Il vate berlinese è fresco di pubblicazione del primo best of (“Volume”) e le sue performances sono rinomate per essere davvero senza compromessi… e così sarà un’altra volta.
Si realizza che è tutto finito e ci si risveglia con impavidi che si fanno una grigliata di salsicce per colazione. Alle sette del mattino. Cazzo, nonostante la due giorni spaziale forse devo proprio tirar fuori un briciolo di patriottismo…
Se potessi ripercorrere in un attimo, nuotando controcorrente, le rapide di questo fiume oramai giunto al suo estuario, nella estrema fissità di questo mio prossimo viaggio nella noia orizzontale, sceglierei gli anni in cui la volta celeste non era altro che un enorme lenzuolo fatto a cielo e la luna una palla polverosa gettata nel vuoto e catturata con le unghie dall’egoismo del pianeta Terra. E noi, bimbi, cadevamo con essa per sempre, aggrappati in un infinto sprofondo gli uni agli altri, grazie a un gomitolo di lana nera. I grandi dimenticarono in fretta di avere un mondo con certe stelle enormi, sopra il capo, da osservare, mentre noi sacrificavamo la nostra noia migliore per costruire ponti sospesi nello spazio che ci allacciassero a un’agognata luna. La dipingemmo butterata e funesta, con maremoti sulla superficie di un ponto che non era mai tranquillo, ma tutta una schiuma fremente di gorghi e mostri marini. Nuovi esseri di ordinaria malinconia calpestavano un tappeto soffice come zucchero filato sparso su una teglia, in cui si radicavano piante cresciute dolci come torroni. Altre volte immaginammo un balzo da gigante come in mongolfiera, le tante mongolfiere tipiche di una domenica d’estate, un balzo che ci consentisse di fuggire all’avarizia terrestre e alle sue costrizioni. In anni in cui razzi enormi arrugginivano in volo, pensammo a uno sgangherato proiettile cavo sparato negli occhi della luna come nei film dei Meliès, in cui potessimo accovacciarci per il viaggio, assieme ai nostri migliori amici. Ma poi venne il tempo di un leggero disincanto, e, anche sognando a occhi aperti, non potevamo far altro che immaginarci tute e scafandri e missili scagliati a violentare qualche nuovo cielo. E poi, al ritorno, schivare incredibili uragani e tempeste, per posarci placidamente in un mare che ci accogliesse come un telo.
Eravamo certo molto giovani e molto felici e pensavamo, con rabbia, di non dover invecchiare mai. (Matteo Marconi)Le puntate precedentiBack To The Future Vol. 9 - Stuart Adamson morì nel 2001 e nessuno ne parla piùBack To The Future Vol. 8 - I Vines e il Verona dell'84-'85Back To The Future Vol. 7 – “I figli degli operai, i figli dei bottegai!” Back To The Future Vol. 6 - Ekatarina Velika (EKV) Back To The Future Vol. 5 - Gli Air sul pianeta VegaBack To The Future Vol. 4 – “Stay” e gli angeli degli U2 Back To The Future Vol.3 - La lettera dei R.E.M. e di Thom YorkeBack To The Future Vol. 2 – Massimo rispetto per i metallari (1987-89)Back To The Future vol. 1 – L’estate di Napster 14 settembre 2010
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