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A quelli che hanno mancato la sua ultima calata italiana per mere ragioni di portafoglio (il prezzo del biglietto della data di Milano ammontava a 150 carte…) la pubblicazione di una raccolta riassuntiva apparirà una magra consolazione. Tutti gli altri, invece, potranno trovare in “Glitter and Doom” un souvenir piuttosto corposo, comprensivo di ben due volumi e di un raffinato booklet di scatti live, di quelle regalìe da vecchia zia che Waits ama fare ai propri nipotini quando il Santo Natale già si avvicina ma gli scaffali non sono ancora così imbottiti.
Più invecchia e più mette corazza, la zia Tom, smentendo la regola che vorrebbe che ci si addolcisse con l’avanzare dell’età. Le scelte dal suo ampio repertorio pianistico si limitano ad un paio di numeri, mentre è chiaro ormai che il nostro ha scelto di spendere la sua dorata sessantina tra i martelli pneumatici e gli stomp-blues: la precedenza va quindi di diritto alle creazioni più recenti, con qualche bel ricordo estratto dallo spigoloso “Bone Machine” e da un “The Black Rider”, ingiustamente dimenticato. S’intravede sullo sfondo il solito ensemble di musicisti d’alta caratura, ma a far da comun denominatore per tutte quante le canzoni in scaletta è naturalmente la voce, quella voce, se possibile più rugginosa ancora di quanto non ce la si ricordasse. Sotto la pressa della sua leggendaria raucedine passano l’ululato alla luna di “I’ll Shoot the Moon” e il teatrino brechtiano di “Singapore”, arranca qualche malinconica serenata e scivolano, uno via l’altro, i racconti fumosi e sporcaccioni che abitano il secondo volume, “Tom Tales”: carpire il senso di questi ultimi è un impresa ardua persino per quelli che vantano una certa familiarità con la lingua inglese e con la prosa masticata dai padri del beat americano, da sempre ispiratori della vena letteraria e delle maniere da modì del songwriter di Pomona.
A parte questo inconveniente linguistico – e lo strapotere del non eccelso “Real Gone” in scaletta – le mancanze di “Glitter and Doom” sono quelle fisiologiche di ogni raccolta live. Nella transazione dallo spettacolo dal vivo al disco è passato integralmente il tabagismo che rende ammalianti racconti e canzoni ma sono andati persi, per forza di cose, il gesto teatrale e il carisma della presenza fisica, che nel caso specifico giocano un ruolo centrale per potersi godere appieno lo show. Succede così che i “dooms” promessi dal titolo vengano mantenuti in abbondanza mentre per il “glitter” e per la parte più spettacolare rimane poco da fare: toccherà attendere il prossimo passaggio in terra nostrana, sperando che il management e le agenzie che fissano i prezzi scendano a più miti consigli.