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Ci sarebbero giusti motivi per mettersi di buona lena ad analizzare le liriche di “Hombre Lobo”: il licantropismo, la percezione dell’assenza, il sentimento non ricambiato… in una parola, quella che Mr. E ha messo lì sotto il titolo a spiegazione chiara, il desiderio. Testi di un amore sommesso per le piccole cose, per le risate dell’amata, per le irraggiungibili mete eterne. Ma sarebbe difficile e forse vorrebbe dire attribuire valore universale a quelli che sembrano essere, per Mark Oliver Everett, degli appunti del proprio viaggio quotidiano, di un diario talmente personale da meritare una lettura rispettosa e non lo sbandieramento a destra e a manca. Mr. E parla direttamente ad ogni ascoltatore: ognuno potrà leggere i testi di “Hombre Loco” e riuscirà ad immaginarli, a viverli, ognuno a modo suo.
Se le parole di “Hombre Lobo” hanno dunque l’indubbio valore di essere un tutt’uno, dal punto di vista musicale l’album del 2009 degli Eels – che giunge a quattro anni di distanza da “Blinking Light And Other Revelations” – si dimostra invece più schizofrenico, diviso tra pancia e cuore in un’alternanza forse troppo poco eterogenea di preziosissime ballads (“In My Dreams”, “My Timing Is Off”, “All The Beautiful Things”) e irruente, catartiche rock-blues songs che paiono ululate alla luna (“Prizefighter”) oltre che suonate in preda all’ultima cassa di birra (“Lilac Breeze”, “Tremendous Dynamite”). Di solito l’alternarsi di atmosfere, accelerazioni e decelerazioni negli album è salutare, serve per cambiare marcia e ritmo: qui spezza e basta e verrebbe dunque davvero voglia di ritagliarsi, da “Hombre Loco”, due ep. Facciamo questo giochino?
Da una parte ci sarebbe l’ep misticamente confidenziale, delicatamente in punta di piedi formato dalle tracks 2, 4, 6, 9, 10 e 12, con i picchi stratosferici delle melodie cristalline di “That Look You Give That Guy” e “Ordinary Man” e soprattutto con quella che sarà la personalissima canzone dell’anno del sottoscritto, “The Longing”. Dall’altra parte della staccionata si potrebbero benissimo raggruppare le songs 1, 3, 4, 7, 8 e 11 per meglio significare il lato selvaggio degli Eels, senza mediazioni, senza fronzoli. In una parola: il lato fuzz.
Che poi il lettore/ascoltatore la faccia davvero, questa divisione, non è dato di sapere: secondo me è nei fatti, e dà una chiave di lettura ulteriore ad un album che potrebbe essere frettolosamente bollato come meno riuscito perché musicalmente non omogeneo.
E invece c’è sempre bisogno della familiarità di Mr. E: anche in famiglia ci si può non capire e conseguentemente litigare, ma alla fine ci si ascolta e ci si prende per come si è.