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Il gioco di parole è facile, però è inevitabile: il secondo giorno di Abbabula, che letteralmente significa “acqua alla gola”, ha voluto tenere fede al proprio nome. Nomen omen. Una pioggia insistente, comunque largamente preventivata, ha cercato di dare fastidio e mettere i bastoni fra le ruote al Festival sassarese che però è andato avanti convinto e noncurante come un calciatore che non si lascia intimidire da due gocce di pioggia. Per fortuna.
Sì, non pareva nemmeno che gli spettatori se ne accorgessero durante l’esibizione di Mannarino, alla sera in Piazza S. Caterina: saltavano e ballavano come degli ossessi anche con gli ombrelli. E’ venerdì sera, cavolo, Mannarino è un forza della natura, uno splendido cantautore della tradizione romanesca con il seguito di una banda sulla specie di quella “per matrimoni e funerali” di Bregović, con una sezione fiati esemplare… perché non festeggiare anche sotto la pioggia?
Alessandro Mannarino dal vivo è stata una vera rivelazione: vabbé che c’era già stata la Dandini a farcelo conoscere, ma qui si tratta di vivere la sua esibizione che è urlata, imprecata, insomma vissuta. Uno squarcio di vita autentica, e non solo romanesca (perché Mannarino pare davvero raccontare di storie universali…), attraverso degli stornelli che parlano di calici alzati, di giudici e carabinieri, di pagliacci e di amori andati a male (“Ho dato il mio cuore un bel giorno e non ha più fatto ritorno”), squarci di un’umanità sempre alla ricerca della propria essenza che, alla fine, ci beve su. Superlativo.
Mannarino lascia tutti con un nodo al fazzoletto: “E ricordatevi… l’amore è gratis!”: se non è un consiglio intelligente questo…
Prima c’era stato spazio per Dente, che – con la sua solita verve minimale e fintamente svogliata – ha ripercorso quella scaletta che già da un annetto fa girare su e giù per lo stivale. Live ineccepibile, forse un po’ troppo professional; probabilmente l’unico problema è che Dente ha leggermente variato gli arrangiamenti con basso fretless e più pianoforti rispetto all’estate scorsa (per adattare lo spettacolo ai teatri) e non è che le sue canzoni ne abbiano giovato, già semplici com’erano. Lo ha dimostrato una “Non c’è due senza te” più movimentata che ha raccolto maggiore empatia dal pubblico, comunque soddisfatto dell’aurea da “cantante della porta accanto” del fidentino.
Giusto tempo per rifocillarsi un attimo dalla pioggia battente che è arrivato il momento di buttarsi dentro ad un localino perfetto per scaldare le ossa, il Tumbao, raccolto e accogliente in una maniera vagamente alla sudamericana, dove i Brunori sas hanno messo in scena la loro musica che è interpretazione del pop d’autore nel 2010: i Brunori confermano di muoversi nella scia di una tradizione italiana alta e allo stesso tempo ingombrante, come è quella di Gaetano e De Gregori, e dal vivo il disco “Vol. 1” risulta più coinvolgente senza badare alla misura che è comunque una bella caratterista della band. Le prime file cantano “na na na” e si muovono finalmente libere da ammenicoli che combattano la pioggia, tutti sono contenti e probabilmente si dimenticheranno della inesplicabile cover di “El Diablo” che lascia, sinceramente, un po’ interdetti (il testo non permette questa reinterpretazione leggera…). A parte questo, concerto riuscito, una chiusura sensata ad una giornata di Abbabula che ha dato un’istantanea coerente con i movimenti d’autore, attuali, in Italia. E non è proprio poco.