Share This Article
La line-up, rispetto a “23 Seconds” (K7, 2007), si arricchisce con l’aggiunta di Colin De La Plante (The Mole), mentre il progetto, nel suo insieme, sembra proseguire e progredire lungo la via tracciata dall’album precedente.
E’ certamente più facile da decifrare quest’ultimo lavoro, più “morbido” in alcune sue parti e maggiormente sfruttabile anche in contesti dance floor più rilassati. I mezzi per mettere in pratica l’intento di giungere ad una buona sintesi delle potenzialità della formazione vengono tutti impiegati: macchine analogiche, vocoder, sintetizzatori, batterie elettroniche, oltre al solido retroterra musicale dei quattro componenti (Mathew Jonson, Danuel Tate, Tyger Dhula, Colin De La Plante), costruito negli anni in cui sono nate ed hanno preso forma le principali espressioni della musica elettronica.
“The Modern Deep Left Quartet”, se decidiamo di non voler fare esasperato esercizio di menzione di generi e sottogeneri, può essere considerato sostanzialmente un album house. Quella è la cadenza, quelli sono i tempi, anche considerando le piccole ed inevitabili virate verso pezzi dal sapore più techno (“Children”). In più c’è un approccio complessivo che, come detto, tiene conto delle varie sfumature del suono elettronico, le sfrutta e le coniuga in un prodotto maturo, che non sembra per niente preconfezionato ed appare estremamente solido.
I quattro Cobblestone Jazz sono assolutamente capaci, non solo di svolgere il compito senza sbavature, ma, anche e soprattutto, di proporre, oggi, una manciata di tracce che uniscono elementi house, techno ed acid-jazz, senza suonare né vecchi, né, tantomeno, stereotipati. Assolutamente da non sottovalutare.