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Recensire l’opera prima di ogni artista è una delle cose più difficili da fare. Si riconoscono i pregi espressi, le fonti riconoscibili, la caratteristica precipua del nuovo artista; si fanno notare le pecche, i limiti, i “Vedremo” e “Speriamo”, ecc… ed è una cosa snervante la prudenza o la pazienza quando un lavoro convince o non convince affatto.
Nel caso degli Avi Buffalo è come recensire un film della Walt Disney o uno degli ultimi episodi di Dawson’s Creek!
Abbiamo la giovanissima età dei 4 ragazzi (due ragazze e due ragazzi) capitanati dal 19enne Avigdor Zahner-Isenberg (dal cui affettuoso diminutivo viene il nome della band); abbiamo la passione per lo skate sulle piste presso le quali si narra già che Avi improvvisasse delle sessions con la sua chitarra attirando curiosi, amici e primi fan; ci sarebbero poi le stesse session forse registrate forse no che hanno incuriosito una casa discografica come la Sub Pop che è quanto dire per straordinarie avventure. Aggiungiamoci in un mix davvero riuscito: il muso dolce-amaro da artista che la sa lunga con i suoi testi insolitamente maturi sull’esperienza dell’amore, e arpeggi che esaltano l’indie folk americano e trascinano i bambini perduti dall’Isola Che-Non-C’è verso la California, dalla parti di Long Beach, ed ecco a voi l’album omonimo degli Avi Buffalo.
10 canzoni che tintinnano cristalline con una grazia interna che non si può credere possibile, espresse con voce da falsetto continuamente sul punto di spezzarsi in lacrime (“Five Little Sluts”), testi tra la serietà gentile e la profondità pensosa (“Jessica”), musica suonata come fossero navigati musicisti (“Remember Last Time” non ne vuole proprio sapere di finire nella lunga coda improvvisata). Per non parlare di “What’s In It For”: il singolo che traina l’album è esemplare nel riassumere la magia straniante dovuta all’abilità di questi ragazzini. “Can’t I Know?” è un pezzo indie d’altri tempi, con batteria e voce carezzevoli, quasi sensuali, e l’ultimo brano, “Where’s Your Dirty Mind” implode in sè con una carica emotiva accorata. Cosa dire: un magnifico prodotto di maniera, forse troppo ingiustamente perfetto per dei giovani artisti che devono ancora crescere.
Spesso siamo difficili con i giovani: se scrivono roba dozzinale, giù ad accusare un’intera generazione di superficialità; se scrivono cose un po’ al di sopra dello standard d’età, ecco che li accusiamo di stare scimmiottando gli adulti. La questione però resta: un prodotto di maniera non spetta mai a dei ragazzi, ai quali si richiede una perfettibilità rimandata ad un orizzonte creativo che si sposta sempre più in là ad ogni passo.
Un pensiero mi fa compagnia mentre ascolto le gentili canzoni di Avi sussurrate a un’innamorata che forse non lo comprende veramente. Il genere folk ha sempre la caratteristica della saggezza istintiva, e l’indie quella della leggerezza mozartiana che permette di esprimere concetti pesantissimi dotandoli delle grandi ali di Dumbo! E ritorniamo così alla Disney. Sì… Disney… perché ci muoviamo nel mondo delle fiabe. La Sub Pop con gli Avi Buffalo infatti ci introduce in una favola, ci invita a crederle, come faceva un tempo, con un’operazione che la qualità dei brani riesce a non far sentire pesantemente stucchevole. Forse proprio per questo finisce per riportare alle nostre menti ricordi già straordinariamente usurati dal tempo e dalla realtà, di favole che si sono bruciate. E a quel punto fa veramente specie accostare gli antichi ricordi gloriosi (mi si lasci dire) di guerrieri in parte sconfitti a queste nuove proposte di giovani adulti dove tutto, tranquilli ragazzi, sta al suo posto senza troppo dolore e tormento.