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VENERDI’ 23 LUGLIO 2010
C’è crisi. Bugo l’aveva detto un paio di anni fa e da allora ce lo ripetono, un giorno sì e l’altro pure, i giornali e compagnia bella, ma Italia Wave c’era parso sempre un angolo sperduto nell’universo in cui le cose potevano continuare ad andare bene. Forse perché c’è quel “love” di mezzo, forse perché Italia Wave non è propriamente un festival ma è un vero e proprio stile di vita, sereno e rasserenante. Invece al venerdì di Italia Wave 2010 ci si è bruscamente svegliati: troppo poche le presenze serali allo Stadio Picchi (un migliaio?) per un Festival che si deve vivere collettivamente, che dà tante possibilità (CineWave, ComicsWave, CultWave, ecc.), che è come sentirsi a casa. Probabilmente, Italia Wave ha tradito la propria missione (di oramai un po’ di tempo fa…), quella di essere un festival gratuito, e finché i cartelloni (del 2008 e 2009) hanno “tenuto” con dei nomi di richiamo, tutto ok, quando poi – quest’anno – è venuto a mancare il vero e proprio evento, ecco che il venerdì è crollato sotto il peso di un’organizzazione riuscita ma mastodontica rispetto al riscontro effettivo.
Did (foto www.italiawave.com)
Comunque. C’è una giornata musicale da raccontare.
Si arriva lì dallo Psycho Stage in Rotonda d’Ardenza, sul lungomare dove i livornesi amano sfrecciare nel footing del calar della sera, con i torinesi DID che stanno per concludere un set post (post-punk, post-wave, post-afro, post-quellochevoletevoi…) tirato alla Liars in tenuta k-way giallo (con un apocalittico caldo!): potranno dare delle soddisfazioni, soprattutto in chiave estera visto che il “Kumar Solarium” (Foolica Records, 2009) è uscito un po’ dappertutto in the world, da ultimo anche in Canada e negli States. Poi – e non è un errore – si appropinqua sul palco Il Genio: sì, quelli di “Pop Porno” che però non suonano perché probabilmente ormai “Pop Porno” è come la loro “Creep” (i fan integerrimi dei Radiohead ci perdonino per l’eternità per questo accostamento). Lo spaesamento sembra accentuato dal fatto che sembrano usciti da un puntata de “La Principessa Zaffiro”. In realtà il concerto migliora di pezzo in pezzo. Qualche sbavatura di basso, un accenno surf, un nuovo singolo – “Cosa Dubiti” – piuttosto insopportabile nella vicinanza con Gainsbourg (si voleva non nominarlo, non ci si è riusciti…), più basi rispetto al disco precedente, un tizio impassibile che sembra Mr. E alla batteria, Il Genio fanno la loro figura sopratutto con la parte finale in cui spingono in una vena sognante ma dal piglio deciso (ottima “Una giapponese a Roma”). Valutazione finale: non solo Ventura.
Il Genio (foto www.italiawave.com)
Concludono il pomeriggio dello Psycho i Bud Spencer Blues Explosion: non ce non vogliano i testosteronici, i tecnici dello strumento che si masturbano ancora con dieci minuti di assoli (ci siamo passati tutti), i B.S.B.E. sono insopportabili perché fanno roba che facevano (meglio) i Clandestino quindici anni fa solo che a farla in due pensano di essere più fighi (ma qualcuno glielo dirà prima o poi che la formula alla White Stripes non sorprende più nessuno). Di blues c’è solo il nome, c’è uno scimmiottamento di Hendrix cantato in italiano (il che è piuttosto orribile): sembrano i Rio più carichi. Andrebbero bene per una serata nella bassa, ascoltandoli su un palchettino di un pub sperduto nella nebbia, al bancone, una serata in cui non volevi uscire. Di quelle sere, insomma, che va tutto bene piuttosto che starsene davanti alla tele, ecco quella è l’unica situazione in cui vi consigliamo di vedervi i Bud Spencer Blues Explosion.
…A Toys Orchestra (foto www.italiawave.com)
Ed è ora di Main Stage che, lo si diceva, si affacciava su un enormità di vuoto: quello che hanno visto sia i Palomino Blitz, un pop raffinato in inglese con una cantante di bella presenza, che gli splendidi …A Toys Orchestra. La band salernitana parte energica, tiene il palco con una padronanza navigata che in pochi hanno in Italia, e in ogni canzone ci si ripete in testa che possiedono una capacità di scrittura difficilmente eguagliabile. Poi però ci si accorge di un “effetto Mika”: come per Mika, alcuni pezzi funzionano fin da subito perché ricordano melodicamente qualcos’altro. Succede così per “Mistical Mistake” (a voi ricercare il pezzo Anni Settanta che viene in mente), mentre per “Look In Your Eyes” vi aiutiamo noi: provate ad ascoltare “A Place Called Home” di PJ Harvey. I Toys Orchestra sono un gioiellino, ma vorremmo sempre qualcosa di più da loro: canzoni mai sotto il livello di originalità e coinvolgimento di “Cornice Dance”, che fa saltare in maniera inarrestabile i quattro gatti sotto il palco.
Valenti va in giro per il mondo a scovare talenti, si sa, e stavolta ha beccato un gruppo tosto in Francia: trattasi degli Urban Swing Sound System, tre scatenate vocalist sotto una base di hip’n’blues (o, se vi piace di più, rhythm’n’hop) come se Amy Winehouse si triplicasse. Brave, la loro versione di “People Are Strange” dei Doors ha meritato anche se alla lunga il troppo scrachtare del dj dietro a loro ha un po’ stancato.
Noora Noor è invece scivolata via come niente: non conta venire dalla Norvegia se poi il risultato è esattamente come se la tizia fosse nata in America. Cioé, in questi anni ad Arezzo/Italia Wave abbiamo visto artisti interessanti che mischiavano la loro provenienza con generi musicali che con quella provenienza nulla avevano a che fare (ci vengono in mente il triphop per la brasiliana Cibelle o il surf per i russi Messur Chups), mentre Noora Noor fa del semplice soul di matrice black come una qualsiasi artista della Motown dei tempi d’oro, e senza alcun elemento nordico. A che serve, dunque? A nulla.
Faithless (foto www.italiawave.com)
Molto invece hanno reso i Faithless: hanno fatto saltare, hanno coinvolto con la loro techno a tratti tribale a tratti puramente da disco dei primissimi Anni Novanta, con una ritmica impressionante (un batterista che si esaltava nelle rullate e pure una caterva di percussioni) intervallata da canzoni sospese lontane parenti del trip hop di bristoliana memoria. L’intera audience, anche se minima, era lì per loro, e non poteva che cantare all’unisono i passaggi più rilevanti di “God Is a Dj”, “Insomnia” (“I can’t get no sleep”!), “What About Love”, il nuovo singolo “Not Going Home” e la conclusiva “We Came 1”.
Con quei suoni si è tornati sedicenni: riff di tastieroni alla Haddaway dei Faithless e ci sarebbe proprio piaciuto buttare giù una vodka alla pesca.
SABATO 24 LUGLIO 2010
Si dice che nessuno è profeta in patria, e invece no. I Virginiana Miller sono stati molto profeti nella loro Livorno nel sabato di Italia Wave 2010, in un pomeriggio emozionante che ha ri-dimostrato che i Virginiana sono tornati perché avevano realmente qualcosa da dire, e non è così scontato. “Il Primo Lunedì del Mondo” suonato live è un album da amare, da rigustarsi tutte le volte che si riesce, e se è per questo il poterselo ascoltare pure vicino a quegli scogli a cui la band si sarà affacciata tante volte a scrutare l’orizzonte, beh, ha un valore non facilmente stimabile.
“Acque Sicure” è proprio dedicata a quelle acque, “L’Angelo Necessario” è l’immaginarsi di essere nata donna (“E possibilmente anche bionda”, dice Simone, il cantante), “La Carezza del Papa” è la conferma del calore animale: i Virginiana un po’ spiegano le canzoni a voce ma soprattutto le interpretano, come se fosse l’ultimo concerto, come se non fosse possibile esimersi dal mettersi in contatto massimo con il pubblico, con la suprema volontà cioé di comunicare, di trasferire emozioni. E’ stato un live toccante, di una dolcezza elevatissima e ciononostante coinvolgente, una vera rarità per una band italiana.
Virginiana Miller (foto www.italiawave.com)
E per fortuna che sullo Psycho Stage ci sono stati i Virginiana Miller, e anche Mannarino, perché qui si ferma Italia Wave: eravamo un po’ dubbiosi dopo il venerdì, tiriamo delle (brutte) conclusioni il sabato. Dopo Mannarino che si riconferma artista vero e verace (rimandiamo il lettore direttamente a quello già scritto per la sua esibizione all’Abbabula Festival di Sassari del maggio scorso) il festival labronico affonda definitivamente. La serata al Main Stage è stata disastrosa: un gruppo francese, i Jamaica, assolutamente inutile nell’essere la copia sbiadita dei Phoenix, una macchietta brava ma che non c’entrava nulla come Jimi Tenor & Kabu Kabu, l’apoteosi del peggior modo di fare concerti elettronici degli Underworld, e uno stadio che si confermava sotto tutti i livelli di guardia a livello di pubblico. Cosa è successo ad Italia Wave? Livorno era in spiaggia, era nei bar, era sul lungomare a braccetto, ma non c’era al Picchi. E’ che musicalmente la proposta era – diciamolo – assolutamente carente per un Festival a pagamento. Lo sappiamo noi che siamo dei reduci di Arezzo Wave che Italia Wave vive di una bellissima atmosfera non replicabile, ma chi sceglie di venirci la prima volta per ascoltarsi un concerto guarda i nomi in cartellone e basta. E’ ora di dire chiaro e forte che non è possibile che in Spagna (non in Inghilterra!) ci siano programmazioni stratosferiche come quelle del Primavera Sound o Benicassim e in Italia no. Con i nomi di quest’anno di Italia Wave ci si faceva un paio di serate, anzi sarebbe stato molto meglio trasferire direttamente lo Psycho Stage sul Main e sarebbe stato tutto musicalmente più onesto. Se è austerity, che vera austerity sia.
Underworld (foto www.italiawave.com)
Altrimenti ben vengano altre programmazioni, come quella del Play Art di Arezzo (eh sì, gira che ti rigira si ritorna a parlare di Arezzo…) che la domenica 25 luglio è riuscita a mettere insieme il talento ineguagliabile, non ancora compreso appieno, di Samuel Katarro, la consacrazione dei Baustelle e soprattutto il ritorno dopo 4 anni di assenza dall’Italia di una band così amata come i Belle & Sebastian.
Abbiamo sempre difeso a spada tratta il festival di Valenti da ogni tentativo di delegittimazione, ma quest’anno Italia Wave si è delegittimata da sola. Da ultimo con la resa di mettere gratis l’ultima giornata, quella di domenica, estremo tentativo di correre ai ripari rispetto all’emorragia di spettatori che è stata la conferma, l’ammissione di tutto quello che non va.
Non è detto che si trovino altre forme e modulazioni, Italia Wave ha sette vite e lo ha sempre dimostrato, lo speriamo vivamente. Quello che è certo è che la formula di quest’edizione è suicida, e curiosamente lo è nell’anno in cui il Corriere di Arezzo titola, con riferimento al Play Art, “Ridateci Arezzo Wave”. Da esterni diciamo: mettetevi d’accordo, fate un Festival bello, ad Arezzo o a Livorno, a Grosseto oppure dove cavolo volete voi e vedrete che la gente tornerà a cavalcarla, l’Onda, qualsiasi essa sia.
(Paolo Bardelli)