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Blonde Redhead, concerto a Estragon, Bologna (13 settembre 2010)
Ci avviciniamo al capannone dell’Estragon con le peggiori intenzioni, lo ammettiamo. Il terribile ricordo dell’ultimo tour italiano dei Blonde Redhead è ancora fresco: le pose da diva di Kazu Makino, i cori campionati e la stanchezza del concerto riminese di due anni fa sono stati rospi difficili da ingoiare, per chi del trio ha sempre acriticamente adorato tutto.
Se aggiungiamo, poi, che “Penny sparkle”, l’ultima fatica in studio dei tre, non ci abbia proprio impressionato favorevolmente… beh, non è difficile avere aspettative molto basse sulla serata.
Al nostro ingresso, le cose vanno anche peggio: il palco è disseminato di lampadine rosse, con un effetto Indiana Jones e il tempio maledetto involontariamente comico. Una lampadina si fulmina, la band ritarda l’ingresso, un roadie che pare appena sceso da una passerella di Armani tenta di sistemarla. L’irritazione cresce: siamo pronti ad assistere a qualcosa di chic e freddo, a tornare a casa a piangere i bei tempi andati sulle nostre copie consunte di “Meloldy of certain damaged lemons”.
Quando Kazu esce sul palco, in pochi trattengono una risata: a conferma della recente e inguaribile fissa per i Knife, il suo volto è coperto da una maschera che assomiglia al caschetto da minatore del cugino Itt.
Ma poi, all’improvviso, viene spazzato via tutto, le risate vengono ricacciate in gola. Noi, i prevenuti, gli scettici, ci dobbiamo ricredere: le chitarre ci sono, ed è Amedeo, con la sua voce timida e ruvida, a prendere spesso il centro della scena. “Black guitar” è talmente bella da lasciare senza fiato. Improvvisamente gli ectoplasmi delle canzoni di “Penny sparkle” prendessero finalmente corpo, e rivelano la loro sostanza. I Blonde Redhead concedono poco alla rarefazione della loro ultima creatura: l’ormai vecchia “Falling man” si fa rabbiosa ed elegante, tutto diventa meno lezioso e più reale.
La brutta immagine che si stava formando nelle nostre teste a proposito di uno dei gruppi più importanti degli ultimi quindici anni viene cancellata completamente: il concerto è teso e perfetto, il pubblico completamente avvolto in una perfetta ovatta elettrica, come in un sogno destinato a finire.
(Daniele Paletta)
foto di Jen Gallardo del concerto del Tribeca Grand Hotel, 7 settembre 2010
28 settembre 2010