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I rampanti Kings of Leon giungono finalmente in terra italiana per farci il culo a stelle e strisce! All’unica data nostrana della tournée di supporto a “Come Around Sundown” vengono ad insegnare il loro “miracolo” rock: un equilibrio ormai perfezionato tra la grezza indole southern e le grandi produzioni da stadio, il tutto (e sarà questo il vero miracolo?) sapientemente propinato da un gruppo di giovani virgulti ancora nel fiore dei loro verdi anni.
Scaldare l’infreddolito pubblico del Futurshow Station è compito dei Whigs, energetica band di ragazzacci made-in-USA dedita ad un rock piuttosto simile a quello dei primi KOL, con forse qualche ingenuità di troppo. La camicia a quadrettoni c’è, i capelli al vento e i salti sul palco pure, persino l’entusiasmo delle prime file, ma le nostre teste sono già proiettate sulla vera attrazione della serata.
Tensione ormai alle stelle, in una nube di fumo rosa si materializzano i quattro Followill e attaccano immediatamente una incendiaria “Crawl”, seguita a ruota da “Molly’s chambers”. A questo punto sembra che la scaletta possa spazzar via ogni nostra previsione di concerto modellato sull’ultimo album, ma a smentirci arriva proprio il singolo “Radioactive”. Il muro di suono è impressionante, complice anche la presenza di un polistrumentista aggiunto sul palco, grazie al quale si innesca la potenza di ben tre chitarre che prendono vita su una travolgente sezione ritmica.
La folla è ormai in delirio e non smetterà di esserlo per tutta la durata del concerto, eccezion fatta per una inaspettata défaillance tecnica. Mentre “Mary” ci immerge in un’emozionante atmosfera da ballo liceale, corresponsabile il gioco di luce riflessa da una enorme e inaspettata mirror ball, l’idillio si interrompe bruscamente: l’impianto esterno smette di funzionare, lasciandoci con i soli suoni provenienti dal palco. Per fortuna è tutto risolto all’inizio del pezzo successivo. Lo show procede dritto come un treno, senza mai momenti di esitazione, e ci avvolge in un’atmosfera intima. Il frontman stesso sembra essere sempre più a proprio agio e comunicativo. Momenti topici l’affascinante e ispiratissima “Knocked up” e il “recupero” di “The bucket”. Pericolo scampato… i Kings of Leon ci dimostrano di non rinnegare il proprio passato e, meglio ancora, di possedere un repertorio sostanzioso da cui attingere con sicurezza e nonchalance. Vanno al segno anche la coinvolgente “Fans”, l’efficacissima “Pyro” e l’immancabile “On call”.
Il set si conclude con “Use Somebody”, singolone da classifica che provoca una istantanea sindrome virale di coro da stadio; ma il pubblico è ancora affamato: ci penserà un tris di portate come “Closer”, “Sex On Fire” e “Black Thumbnail” in chiusura a saziarlo definitivamente. In particolare la hit d’assalto dal titolo lussurioso ci regala (per nostra fortuna!) un’atmosfera promiscua e frenetica, con tanto di vestiti che volano sopra le prime file ed oltre. I KOL infilano un emozionante e pirotecnico finale di show, e mentre la scenografia continua ad “esplodere” (!) la band lascia il palco consapevole di aver fatto egregiamente il proprio lavoro.
La sorpresa più piacevole è certo il coinvolgimento dei quattro dal Tennessee, che non scoprono mai momenti di un temuto freddo professionismo.
Una occasione unica per un assaggio autentico degli “United States of Porchetta”, come recita un emblematico striscione appeso alle tribune: un mix di sogno americano e sagra di paese, di alta cucina e sapori veraci, ed è proprio così che ci piace!
I Kings of Leon piantano bandiera in suolo italiano.
Un ringraziamento speciale al maestro Giordano Franceschi.
(Francesco Giordani, Federico Spadini, Enrico Zoi)
Collegamenti su Kalporz:
[Foto] Kings Of Leon, Concerto al Futurshow Station, Bologna (3 dicembre 2010)
10 dicembre 2010