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Ci sono dischi verso cui è necessario un po’ di distacco, prima di poterne parlare. Il ritorno dei Massimo Volume, atteso per undici anni dopo aver ascoltato l’affievolirsi dei clangori profetici di quella “Altri nomi” che chiudeva “Club privè” («Chiameremo nuovi numeri, avremo altri nomi, e altri modi per perderli di nuovo »), è uno di quei dischi.
Uscito a ottobre, per giorni “Cattive abitudini” avrà probabilmente monopolizzato i vostri ascolti. E nessuno è riuscito a formulare un giudizio che non fosse in massima parte emotivo: chi li ha adorati era troppo commosso dal loro ritorno. Ed è giusto così: “Cattive abitudini” non è un disco come qualunque altro, ma qualcosa che molti non speravano più di poter ascoltare.
Perfino il gruppo sembra stupefatto del proprio ritorno, nell’attacco un po’ incerto di “Robert Lowell”: «Chi l’avrebbe mai detto di ritrovarci qui, giugno 2010, in un pomeriggio di pioggia e di sole seduti di fronte alle nostre parole?». E’ un inizio disorientate, sfocato, sorpreso: lo shock e la felicità di trovarseli ancora davanti, i Massimo Volume, identici a com’erano. Non sono cambiati di una virgola, ed è un incanto trovarli molto somiglianti al loro momento migliore, quello in cui scrissero “Da qui”. Rispetto ad allora c’è Stefano Pilia,la sua chitarra a incrociarsi con quella di Egle Sommacal, a colorare le dissonanze, a rendere il suono simile a fotografie: sembra di vedersele davanti, le giostre di “Coney Island”, le catene delle giostre che cigolano nell’immenso parco di divertimenti deserto, in un pomeriggio di pioggia. Per non parlare di “Litio”, con quel basso che rimbalza nelle viscere, le chitarre che sbattono furiose e impazzite come mosche rinchiuse in un barattolo di vetro.
“Cattive abitudini” è un disco di una pulizia esemplare, soprattutto nei momenti più narrativi, come nel perfetto racconto carveriano de “La bellezza violata”, o “In un mondo dopo il mondo”, dove sono i silenzi a raccontare i pensieri degli amanti.
Eppure, il ritorno dei Massimo Volume non è il disco perfetto che sembrava ai primi ascolti: a volte si dilunga, altre (“Invito al massacro”) ricalca il passato senza dire molto di nuovo. Ma la bellezza di “Cattive abitudini” sta proprio nel mostrare una band che non finge di essere altro da sé, pur senza farci credere che tutti questi anni non siano passati. Il cambiamento rispetto ai vecchi dischi è più che altro una sensazione, rimasta intrappolata tra le parole e la densità del suono: ci si misura con la perdita di una persona che si vorrebbe ancora poter stringere, con le attese, con lo sbiadirsi dei sogni e delle illusioni.
Si è cresciuti. Tra i solchi, questa volta, c’è meno letteratura, e più vita. Altrettanto bella, altrettanto dolorosa: «Ancora troppo presto per organizzare il proprio sgargiante declino,
ma non abbastanza da non averne un’idea. Io non ti cerco, io non ti aspetto, ma non ti dimentico».
(Daniele Paletta)
Collegamenti su Kalporz:
Caspiterina! – Le “cattive abitudini” dei Massimo Volume, e dei giornalisti (22.10.2010)
Massimo Volume – Bologna nov. 2008
Massimo Volume – Concerto al Circolo degli Artisti (Roma)
Massimo Volume – Intervista ad Emidio Clementi (23-10-2008)
01 dicembre 2010