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Barcelona Razzmatazz 20.11.2010
London Olympia 26.11.2010
London Olympia 27.11.2010
Quando un tale ha detto che i concerti valgono ”oggi” ma i dischi sono per sempre, lo stesso non deve essersi posto il problema che un giorno, vent’anni dopo, i concerti in cui si suona un disco sarebbero diventati non proprio la regola ma neppure un caso isolato. Probabilmente una circostanza simile non se la sarebbe nemmeno immaginata. Eppure, da un paio di anni, assistiamo ormai con una certa frequenza a riproposizioni per intero di un album (o più), basti pensare ai Sonic Youth che “Daydream Nation” l’hanno portato in tour per il pianeta. E di esempi se ne potrebbero fare a decine: Echo & The Bunnymen, Stooges, Suicide, Dirty Three, Slint, Teenage Fanclub, House Of Love.. Alla celebrazione del proprio capolavoro non si sono tirati indietro nemmeno i Primal Scream: Bobby Gillespie e soci si apprestano a festeggiare il ventennale della loro opera maggiormente acclamata (con una ristampa in versione deluxe da far venir giù i santi), quello Screamadelica di cui tanto si è scritto e che a distanza di tempo si conferma lo straordinario laboratorio di suoni che nel biennio 1990-91 accompagnarono svariate migliaia di persone nelle loro serate, trip o quant’altro. Originariamente annunciato in data singola a Londra, ”Screamadelica 2010” è stato immediatamente replicato per l’alta richiesta e in seguito preceduto da due concerti ‘warm up’ in terra ispanica, a Madrid e Barcelona.
Il format delle serate prevede un set di hits della band prima del piatto forte, inframmezzato dal dj set di Andrew Weatherall (LDN only) a ricreare il mood delle storiche notti senza freni alla Brixton Academy nei primi anni ’90. Pronti, via, ”Accelerator”. Ora, non è questa la sede per sviscerare un normale concerto dei Primal Scream – tanto più che in quest’occasione ci sono non più di otto pezzi in scaletta – ma mi sembra opportuno cogliere la palla al balzo per due considerazioni al volo. Non esiste una band capace di mischiare le carte come i Primal Scream e allo stesso tempo rendere il tutto così credibile e compatto, tanto che quasi non distingui quando siano gli sperimentatori senza limiti o i fan dei Rolling Stones più palesi. E se lo fai, non è così importante. Non ce n’è. Sia che ti sbattano in faccia ”Accelerator” o ”Shoot Speed/Kill Light”, sia che sia perdano nel noise più primitivo e paranoico di ”Suicide Bomb”, sia che scatenino il singalong su ”Country Girl” e ”Rocks”, il risultato non cambia mai. Gente che salta, si muove, partecipa. Emotivamente. Gente smossa dentro, perchè il fuoco dei Primal Scream è qualcosa che se li hai capiti per davvero non solo non si può estinguere, ma ti fa vivere l’esperienza sul palco abbracciando interamente tutto il repertorio proposto come se ogni pezzo del puzzle sia fondamentale e inscindibile dal resto. Perchè nonostante troppi non si soffermino a considerarli che per due dischi (quando va bene), se c’è una cosa che i nostri hanno coltivato dagli inizi e non hanno mai perso è quella sana voglia di divertirsi e far divertire con il r’n’r. E’ la loro essenza primaria, e questo è un concetto imprescindibile per chi volesse davvero capirli a 360‹: è una cosa che o si coglie o ci si può accomodare altrove, che i Primal Scream resteranno sempre quella enorme band che sono da un quarto di secolo. Probabilmente la vera, ultima r’n’r band a tutto tondo.
Un Weatherall versione ghost (tutt’ora nessuno ha capito dove l’abbiano posizionato) riscalda l’audience che affolla l’Olympia – un enorme spazio non lontano da Earl’s Court normalmente utilizzato per fiere e dalla struttura simile a quella di un hangar – con un doppio set che si vota ai suoni funky con una forte dimensione spaziale, tanto che il groove sprigionato dalle casse è trascinante e fa da apripista come meglio non si potrebbe alla celebrazione ultima della vita.
L’iconico sole di Paul Cannell si staglia sul mega schermo e quando la band è sul palco per cominciare le danze l’entusiasmo nell’aria fatica a contenersi, tanto che sentire sulla propria pelle lo stacco tra i due concerti fa realmente impressione. ”Movin’ On Up” setta subito lo standard su un livello di eccezione, con una sezione gospel a fare da backing vocals a un Gillespie maestro di cerimonie realmente toccato da un affetto così tangibile che con ventimila persone in due serate gli sarà davvero sembrato di tornare ai tempi in cui i Primal Scream erano il gruppo più figo dell’universo. L’evento è ancora più tale in quanto occasione unica di ascoltare quei pezzi del disco messi da parte da anni o, in alcuni casi, mai proposti dal vivo. gSlip Inside This Househ parte secca con la batteria a farla da padrone e il basso di Mani che entra producendo quasi un vuoto sonoro talmente forte che sembra di tuffarsi in un altro pezzo, mentre lo schermo viene adattato a una tela su cui cascano barattoli di vernice in continuo cambiamento cromatico. Il mosaico di tastiere del solito Duffy nascosto dietro al suo equipment ricostruiscono le atmosfere di piano house che spadroneggiava vent’anni fa cessata l’ondata acid anche se, per restare in tema, il pezzo suona fortemente pervaso da un’acidità nella sostanza ben più marcata rispetto al disco. “Don’t Fight It, Feel It”, titolo manifesto dell’attitudine trippy che pervade Screamadelica, vede i riflettori puntati su Mary Pearce, sostituta all’altezza dell’immortale Denise Johnson, la cui partecipazione annunciata mesi fa non ha avuto seguito dal vivo. I bassi spingono, cassa e tastiere preparano il cantato a squarciagola: ”Rama lama lama fa fa fa, I’m gonna get high ‘till the day I die”, la festa si stacca da terra e va in orbita per lunghi minuti. ”Damaged” e una stratosferica ”I’m Comin’ Down” traghettano il mood attraverso ambienti carichi di spleen e trance da botta che più non si può, con l’apertura melodica della seconda a segnare una vetta di rara bellezza nella serata. Il rimescolamento della tracklist rispetto all’originale non è un caso: per il gran finale vengono tenuti i pezzi che, oltre a essere i più lunghi come minutaggio, sono a tutti gli effetti i veri colpi in canna. ”Inner Flight” segue le atmosfere sognanti di ”Shine Like Stars” che, in queste versioni live tanto rare quanto perfette, preparano all’esplosione di luci e colori che scuoteranno l’esibizione per quello che è il trittico-apice della serata. ”Higher Than The Sun” viene accorpata in un’unica eterna versione: si parte con il cantato spiritualized della prima parte per poi perdersi nella lunga catarsi a metà del pezzo. A quel punto il dub prende possesso del palco e il gruppo suona unito tutta la coda psichedelica in un concerto di fiati, chitarre ed effetti che trasformano il concerto in un’esperienza fisica lunga quasi un quarto d’ora. Per un gruppo normale sarebbe da togliersi il cappello e ringraziare, per i Primal Scream è quasi un antipasto. ”Just what is it that you want to do? We wanna get LOADED!” …Ci siamo capiti? Il dialogo di Peter Fonda va in loop per un minuto prima che le trombe e il coro gospel, sostenuti dall’impeccabile Darrin Mooney alle pelli, faccia partire uno degli inni – se non l’inno per eccellenza – della E-culture dei tempi che furono. E viversela è come te la immagini: un tripudio di colori in un mare di entusiasmo umano che le transenne faticano a contenere. Alzi la mano chi è venuto pensando che ”Loaded” sarebbe rimasta al suo posto poco dopo metà scaletta. Innes disegna quel riff immortale e il refrain ”I don’t wanna lose your love” contagia tutta la sala che lo canta fino all’esaurimento. La totalità del momento va al di là di qualsiasi descrizione. A questo punto si potrebbe davvero pensare che meglio di così non sia possibile, non fosse rimasta ”Come Together”. Come together. Come suggellare in maniera irripetibile qualcosa che definire un semplice show non renderebbe giustizia. Audience e band che si fondono in una cosa sola, una cosa grande, per davvero. Lo vedi negli occhi di Bobby, nelle smorfie di Mani e nell’ondeggiare estatico delle centinaia di facce che puoi scorgere attorno a te. Le dive fanno riecheggiare quelle due parole per minuti e alla fine ti escono fuori senza accorgersene. Poi, di colpo, parte il cantato del Terry Farley mix e veramente ti rendi conto che i Primal Scream siano quanto di meglio ci abbia dato la musica. gLift me, ride me to the starsh. Un quarto d’ora dopo nessuno vorrebbe andarsene, e mentre la band lascia il palco con l’entusiasmo e l’adrenalina di chi si rende conto di aver arricchito nuovamente molte vite, le vibrazioni rimangono intatte nell’aria e non se ne vanno nemmeno a luci accese.
Venti minuti dopo la fine, nei bagni del Razzmatazz la gente canta ancora Cooooome Togeeeether As Ooooone. Non credo serva aggiungere altro per provare a dare l’idea di tre serate che resteranno indelebili nella memoria: in questo caso definirle soltanto la celebrazione di un disco immortale è qualcosa che non rende merito a quanta vita pulsante e autentica ci sia sotto undici canzoni che non smetteranno mai di suonare.
(Daniele Boselli)
Collegamenti su Kalporz:
Primal Scream – Concerto al Vega (Copenhagen)
Primal Scream– Beautiful Future
Primal Scream– Riot Ciy Blues
Primal Scream– Evil Heat
Primal Scream– Screamadelica
25 dicembre 2010
2 Comments
Davude
Io ero a Barcellona..decisamente concerto dell’anno..